Quattro gatti al palazzo: ben pettinati e compiaciuti di essere virtussini anche adesso. E' arrivato il momento di contarsi, è questo il problema. Lucio Dalla abbraccia Bianchini e lo tira su di morale come può e come sa: l'anno che sta arrivando, caro Valerio, tra un anno passerà. Forse nell'indifferenza, di sicuro nella presa di coscienza: battere Biella era necessario, altrimenti ti saluto anche i playoff. La Coppa Italia è paurosamente in bilico. Esserci o non esserci, dipende dagli altri. Le bolognesi sono in attesa della clemenza altrui. C'è poco da stare allegri: quando erano loro le prime a sedersi a tavola, lasciavano le briciole. L'impero si va dissolvendo e la città dei canestri si sta spopolando: adesso sembra una cittadina di minatori inglesi dopo la cura della signora Thatcher. I bolognesi sono così da sempre: se butta male, strepitano un po' poi disertano, tanto in giro c'è sempre qualcosa di meglio da fare, altri salotti, altre passerelle.
Facevano avantindrè da Cortina per vedersi l'ultimo match dell'anno da abbronzati in prima fila: sembrava la dolce vita degli Anni Sessanta, era ieri l'altro. Dove sono finiti? Se ne stanno chiusi dentro le loro torri d'avorio a coccolarsi una sovrana indignazione: questo non va bene, quest'altro non ha senso e Bianchini l'ha preso apposta per farmi arrabbiare. C'è sempre un cero acceso sotto le foto di Messina e Brunamonti. Spariti loro, sparita la Virtus. Sull'altra sponda girano gli allenatori da anni: Mike Bongiorno sarebbe il presidente perfetto. Allegria con la ruota della sfortuna.
Visto? Appena la Virtus ha messo in moto la macchina dei ribaltoni, hanno fatto scopa: tutte e due al nono posto, il peggio degli ultimi dieci anni. Basket City: ma chi l'ha costruita? Alla prima scossa è crollata come una città di cartapesta, incapace di assorbire l'onda d'urto del ridimensionamento, dell'adeguamento degli ingaggi alla nuova (più povera e più sensata) economia dello sport. O tutto o niente, è davvero così Bologna? Fortitudo e Virtus avrebbero dovuto assestarsi un gradino sotto, rinunciando alle luminarie e alla marcette trionfali in favore della sobrietà, dei piccoli passi e delle scelte oculate.
Inseguirsi, superarsi e dissanguarsi per tanti anni: appena uscite dalla spirale della concorrenza hanno smarrito la loro identità e navigano a vista. In dotazione hanno parecchie foglie di fico, non un progetto sensato, non squadre razionali, non giocatori affamati. Si sono rese conto di non essere più le prime della classe e con la leadership hanno perso l'identità. Bianchini e Repesa ce la possono fare, a patto che Madrigali e Seragnoli sposino un progetto e lo illustrino ai loro dipendenti. Quando uomini e squadre lottano per qualcosa, il pubblico si appassiona, anche se di mezzo non c'è lo scudetto o la coppa. Basta che andare al palazzo dello sport abbia di nuovo un senso.
Stefano Biondi
Facevano avantindrè da Cortina per vedersi l'ultimo match dell'anno da abbronzati in prima fila: sembrava la dolce vita degli Anni Sessanta, era ieri l'altro. Dove sono finiti? Se ne stanno chiusi dentro le loro torri d'avorio a coccolarsi una sovrana indignazione: questo non va bene, quest'altro non ha senso e Bianchini l'ha preso apposta per farmi arrabbiare. C'è sempre un cero acceso sotto le foto di Messina e Brunamonti. Spariti loro, sparita la Virtus. Sull'altra sponda girano gli allenatori da anni: Mike Bongiorno sarebbe il presidente perfetto. Allegria con la ruota della sfortuna.
Visto? Appena la Virtus ha messo in moto la macchina dei ribaltoni, hanno fatto scopa: tutte e due al nono posto, il peggio degli ultimi dieci anni. Basket City: ma chi l'ha costruita? Alla prima scossa è crollata come una città di cartapesta, incapace di assorbire l'onda d'urto del ridimensionamento, dell'adeguamento degli ingaggi alla nuova (più povera e più sensata) economia dello sport. O tutto o niente, è davvero così Bologna? Fortitudo e Virtus avrebbero dovuto assestarsi un gradino sotto, rinunciando alle luminarie e alla marcette trionfali in favore della sobrietà, dei piccoli passi e delle scelte oculate.
Inseguirsi, superarsi e dissanguarsi per tanti anni: appena uscite dalla spirale della concorrenza hanno smarrito la loro identità e navigano a vista. In dotazione hanno parecchie foglie di fico, non un progetto sensato, non squadre razionali, non giocatori affamati. Si sono rese conto di non essere più le prime della classe e con la leadership hanno perso l'identità. Bianchini e Repesa ce la possono fare, a patto che Madrigali e Seragnoli sposino un progetto e lo illustrino ai loro dipendenti. Quando uomini e squadre lottano per qualcosa, il pubblico si appassiona, anche se di mezzo non c'è lo scudetto o la coppa. Basta che andare al palazzo dello sport abbia di nuovo un senso.
Stefano Biondi
Fonte: Il Resto del Carlino