Una storia rimbalzante: fatta di urti, rimpalli, rotolamenti. Via in un angolo e poi, boing, di nuovo al centro. Schiacciati a terra e ancora in aria, sospesi, in attesa di un buffetto o di uno sganassone. La vicenda parallela e divergente di Gianmarco Pozzecco e Maurizia Cacciatori è così, un elastico tra cielo e limbo, lunga ormai più puntate di un Montalbano doc. Lui, il Poz, mosca atomica, play fibrillante della Fortitudo Bologna dopo essere stato il leader della Varese artigliatrice dello scudetto cestistico più inopinato e guascone degli ultimi anni. Un talento selvaggio, ispido non solo nei capelli, che non sta alle regole, che penetra nei cuori dei tifosi e scarica elettricità in direzione di allenatori e affini. Lei, la Mau, bionda (sempre atomica, ma in altra accezione), alzatrice e play-mate del volley italiano, donna immagine bruscamente messa da parte dal clan azzurro sulla soglia del trionfo mondiale. Prima bella e felice di esserlo - anche con ingenuità, freschezza - calendariata e allupante, palleggiatissima nei sogni degli sportivi italiani. Poi bella e stanca di esserlo, di essere (considerata) bella e basta: poco concreta, non abbastanza efficace, forse perturbante delle alchimie di squadra. Sono elastici anche nella vita di coppia, i due. Prima insieme poi no, poi ancora, quindi forse, domani si sa no. Contenti di essere scontenti, poi scontenti di essere contenti. Un giorno: «Insieme noi? Per fortuna non più». E quello dopo: «Sì ci sentiamo, la nostra è una storia infinita». Entrambi spesso divisi da trincee d'incomprensione con i citì, entrambi lasciati fuori squadra sulla soglia di trionfi memorabili, tatuati dalla delusione. Pozzecco escluso da padron Tanjevic, ablato dalla Nazionale che si avviava a vincere l'Europeo `99 a Parigi, quindi in fuga estiva verso il miraggio Nba, ma bocciato da un sogno neanche troppo convinto. Ora di nuovo lui - inarrestabile, incomprensibile, non schematizzabile - dentro la Bologna capitale un po' arrugginita del basket, sponda Fortitudo. Si palleggia sul piede in Eurolega e recita l'atto di dolore: «Avete ragione, ho sbagliato, insultatemi». Risorge nel derby, fa maionese della difesa virtussina e irride la panchina avversaria, dove ora siede Tanjevic il malvagio: boccata mimata di sigaro, sullo stile del suo ex `´aguzzino´´ («so solo io cosa mi ha fatto passare Boscia»), e mozzicone immaginario schiacciato sotto il tallone. Crepa, passato. Lui si infiamma e gli allenatori finiscono arrosto, come l'agnello Boniciolli, il coach appena esonerato dalla Fortitudo. Un copione che si ripete. Il Tanjevic della Maurizia si chiama invece Marco Bonitta: non bastano i tre scudetti vinti a Bergamo con la Foppapedretti (e il Poz solo uno, e quasi per sbaglio, come da puntuale sfottò), né le due Coppecampioni. Niet, la pin-up Cacciatori non entra nel gruppo delle nuove belle, dell'oro mondiale di Berlino. Dall'inizio del campionato, la Mau è passata in gita a Bologna, tre volte dicono gli avvistatori, per vedere cosa combina il `´matto´´, perché il barometro della coppia adesso oscilla verso il «forse sì». Intanto il Poz ha ritrovato uno spiraglio azzurro: sulla panca di ct c'è Zio Recalcati, uno che gli vuole bene, che lo ha allenato a Varese. L'unico, dicono i perfidi, che lo crede un vincente e non un virus. Lei è ancora un angelo caduto e imbronciato, che si sente tradito, che sogna risarcimenti per ora difficili da intascare, se comanda Bonitta. Comunque, Nazionale o no, insieme fanno sempre una gran coppia. Finché dura.
Stefano Semeraro
Stefano Semeraro
Fonte: La Stampa