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Mabo, sconfitta che fa male

Nel finale è mancata la faccia cattiva dell'ex Gigena

LIVORNO. Marco Crespi, il Gad Lerner della panchina, che schizza in campo, abbraccia Silvio Gigena, gli dà tre pacche sulla testa e un bacio in fronte, è il quadro di una partita che è già passata agli archivi ma che deve far meditare, di una sconfitta che non va drammatizzata ma che non può assolutamente passare sotto silenzio. La Mabo soccombe uccisa dall'ex, l'argentino scoperto da Faraoni, cresciuto a Livorno, dove ha trovato moglie e comprato casa. Non è un caso che in sala stampa il coach della Scavolini dedichi la vittoria al suo gaucho: «Per Silvio giocare in questo palazzo rappresenta un'emozione», ha raccontato Crespi.
«In settimana - prosegue - l'avevo visto lavorare come un dannato, voleva vincere a tutti i costi e sono felice di dedicargli due punti ottenuti credendoci sempre, anche quando sembravamo spacciati».
Soccombe soprattutto di fronte alla grinta dell'ex, non solo alle sue bombe (due, pesantissime), la Mabo, di fronte alla combattività di Silvio, al suo tempismo a rimbalzo, alla sua foga difensiva, all'animus pugnandi di un giocatore che Livorno (leggi Banchi e Faraoni) ha costruito e che in tanti ora rimpiangono di non avere più. É questa la cosa grave, che sabato sera, nel quarto tempo in particolare, nessuno in maglia Mabo aveva la faccia da guerrigliero che aveva Silvio, che poi è la stessa faccia di Parente, la cui assenza (ne avrà per un altro mese come potete leggere a fianco), mettetela come vi pare, si sente da morire.
Rivista a freddo questa sconfitta fa molto più male. La Scavolini ci ha creduto fino in fondo, come ha detto il suo condottiero, Livorno invece pensava di poter vendere la pelle dell'orso prima ancora di averlo ammazzato. E quei due punti gettati dalla finestra ad un metro dal traguardo ora pesano per gli obiettivi di classifica (Udine, che ha fatto fuori Frates per Pillastrini, resta lontanissima, ma si allontanano temporaneamente i playoff), ma pesano soprattutto sul giudizio globale di questo primo scorcio di campionato. Ci sarà tempo in questi giorni per fare il primo bilancio, ma da subito si può dire che con i due punti di Pesaro l'inizio stagione sarebbe stato da favola, senza è soltanto accettabile. Sembra un paradosso, ma è così.
Torniamo al kappaò con la Scavolini. Non è solo l'atteggiamento, che fa meditare. Perchè con qualche svarione in meno, i due punti sarebbero entrati ugualmente nelle tasche amaranto (anche se gli svarioni nascono dall'atteggiamento). Fa recriminare il 'passaggiaccio' di Garri, l'errore forse determinante del match (per il momento in cui è arrivato e perchè sul ribaltamento Gigena ha messo la bomba del 75-72). Fa recriminare il fatto che proprio Garri, dopo una settimana in cui si era allenato appena una volta e dopo un brutto approccio alla partita, sia rimasto in campo nel cuore del quarto tempo, dal 33' al 37', con Mutavdzic che aveva aperto un cratere nell'area pesarese, relegato invece in panchina. Fanno recriminare i 3 punti di un Sambugaro che si è speso su Beric, ma che forse ci si è anche spento. 3 punti firmati dalla guardia titolare sono una miseria che Livorno non può permettersi, tantopiù in una giornata in cui Elliott stenta. «Ha creato spazio e rifornimenti per Mutavdzic», dice Banchi. Verissimo. É inutile però nasconderci che da 'Sambu' la Mabo si aspetta tutt'altro, va bene la difesa, gli spazi, i rifornimenti, ma ci vogliono soprattutto punti ed esperienza che per ora non arrivano.
Gli altri episodi che hanno deciso il match sono quelli sottolineati dal coach, il tiro da tre in transizione di Mc Leod, affrettatissimo, il fallo in attacco di un Elliott spentino nella ripresa, l'errore da sotto di Misha, che alla fine ha tirato comunque col 58%.
Giulio Corsi
Fonte: Il Tirreno
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