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Progetto Napoli, un Pibe dei cesti per volare in alto

Viaggio sulle piazze del basket in Italia

È curioso pensare che le speranze di rinascita del basket napoletano siano nascoste tra le ferite di un glorioso monumento del passato. Dal “Mario Argento” gronda storia sportiva ma anche tanta acqua, se scoppia un acquazzone. A certe condizioni potrebbe essere riconvertito in una piscina. È un gigante malato. Da quarant’anni, imponente, domina il vialone intitolato ai Giochi del Mediterraneo, ma oggi infonde la stessa tristezza di un palazzaccio esanime della Gescal, eternamente bisognoso di restauro. Il rinascimento della pallacanestro napoletana, riavviato finora con successo dalla Pompea di Mario Maione, non può prescindere dal “tempio” di Fuorigrotta.
Dal ’98 è stato un penoso peregrinare: prima il palasport di Pozzuoli, poi quello di Ponticelli, infine un tendone nuovo di zecca che dovrà accogliere il quintetto azzurro a partire da aprile. Semplici palliativi. Napoli rivuole il suo palazzetto, altrimenti tutti casa.
Maione, un poliedrico imprenditore con interessi che spaziano dall’indotto automobilistico agli alimentari, lo ha chiarito più volte, finalizzando i tempi della sua permanenza nella pallacanestro all’impegno dell’amministrazione comunale. Con altrettanta franchezza si esprime il general manager della società, l’esperto Andrea Fadini che dopo una vita passata Verona è sbarcato a Napoli. Con idee chiarissime. «Sono qui convinto di partecipare a un progetto affascinante e ambizioso. Tuttavia per mia abitudine fisso degli obiettivi che non amo cambiare in corso d’opera. Il primo anno volevamo la promozione in A1 e l’abbiamo ottenuta, in questa stagione cerchiamo la salvezza e faremo di tutto per ottenerla. Se mi parlano di play off, rispondo che me lo auguro ma aggiungo che non siamo obbligati ad arrivarci. Solo la politica dei piccoli passi consente di crescere costantemente e di rispettare i programmi».
Quest’anno la Pompea Napoli punta alla salvezza, ma l’exploit di Pesaro e l’impresa mancata di quindici giorni prima a Bologna, rivelano le legittime aspirazioni di una squadra giovane ma competitiva. Attualmente la Pompea ha 8 punti, domenica prossima va a Trieste sul campo di una delle rivelazioni. Da qui a dodici mesi Jones e compagni potrebbero ritrovarsi nelle coppe europee. Ma Fadini frena. «Escluso. Fino a quando Napoli non si doterà di un impianto degno di questo nome, la Pompea non andrà lontano. Ben venga la nuova tendostruttura ma la società punta al Palargento. In queste condizioni cercheremo prima di tutto di tenerci stretta l’A1. Il basket tira, ma non basta. A Napoli, oltre alla carenza degli impianti, emergono due problemi strutturali: la mancanza di una moderna mentalità imprenditoriale e l’interesse degli imprenditori stessi per lo sport.
Considero il presidente Maione un mecenate allo stato puro». Il mentore Fadini ha voluto con sé Andrea Mazzon, il tecnico con il quale ha lavorato a Verona sul finire degli anni ‘90. Veneziano, trentasei anni, Mazzon ha già una discreta carriera alle spalle. È capo allenatore (grazie a Fadini) dal 1996, eletto allenatore dell’anno nel ’97. È stato anche in Grecia. Sta cercando di cementare il suo gruppo di giovani talenti intorno a Mimmo Morena, bandiera del basket napoletano, il “totem” chiamato ad incarnare la continuità tra passato e futuro. «Ho una squadra giovane con alcuni elementi molto interessanti, ragazzi sui quali costruiremo le fortune del Napoli. Giochiamo per la salvezza e se mi avessero predetto quattro vittorie in otto incontri non ci avrei creduto. Ora dobbiamo compiere un salto psicologico: credere che ogni partita sia alla nostra portata. Ma sono contento perché la squadra mi segue e migliora gara dopo gara».
Parla con entusiasmo dell’avventura napoletana; con rammarico di dover giocare nel sempre più congestionato palazzetto di Pozzuoli; con piacere di quanto sia stata assolutamente indolore la sua integrazione. E svela alcuni gustosi retroscena. «Sa che i veneziani sono considerati i terroni del Veneto? Devono l’appellativo a una città stupenda ma caotica e un po’ arruffona, piena di contraddizioni. Esattamente le caratteristiche affibbiate a Napoli. Il mare ci unisce, da veneziano il mare è la mia passione. E io qui mi trovo a casa. Quando smetterò di allenare, spero il più tardi possibile, andrò ad abitare in una città del Sud». La Pompea è una delle sorprese della serie A1. «Abbiamo notevoli margini di miglioramento, firmerei subito – chiude Mazzon - per l’undicesimo posto a fine stagione».
Non si vede tanta passione per il basket, complice anche l’indecoroso tracollo del Napoli, dall’epoca addirittura sessantottina della Ignis Partenope o, a sprazzi, della gestione De Piano. L’unico vero squadrone napoletano si deve all’espansionismo commerciale del grande Borghi, già patron dell’Ignis. Desideroso di investire nel Mezzogiorno, trasferì mezza Varese all’ombra del Vesuvio e un paio di fuoriclasse americani. In due anni centrò la promozione e, col marchio Fides, la Coppa delle Coppe. Tra i dirigenti figurava il giovanissimo Mario Maione, che proprio per questa ragione si ritiene una sorta di predestinato. «L’ho alzata anch’io quella coppa e non faccio mistero che mi piacerebbe rivivere momenti del genere».
Maione vuole Napoli inserita stabilmente nell’élite del basket italiano. «Ci sono le condizioni. Bologna, Treviso e Cantù non sono più mostri inarrivabili. Il divario tra noi e loro si è ridotto. Lo abbiamo dimostrato sul parquet. Lavorare in una grande città offre, almeno progettualmente, grandi prospettive rispetto alla provincia». E annuncia un’idea, che i media hanno ribattezzato con un pizzico di frettolosa approssimazione “progetto Maradona”. «Voglio costruire la Pompea intorno a un fuoriclasse, così come lo fu Maradona per il Napoli. Prima di Diego nessuno voleva venire qui. Dopo di lui, altri grandi calciatori si misero in fila per vestire l’azzurro. Seguo con attenzione il mercato Usa, ma non escludo di averlo già in squadra il campione». Intanto l’entusiasmo cresce e ogni domenica a Pozzuoli c’è l’esaurito: 3500 spettatori. Non uno di più, purtroppo.
Giuseppe Picciano
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