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Scavolini: le risorse ancora da scoprire

La grande partita di Clarence Gilbert

PESARO — All'improvviso tre bengala sparati uno dietro l'altro hanno fatto più luce di quelli che aveva acceso l'Inferno sugli spalti del Paladozza: così si è ripresentato Gilbert dopo un periodo in naftalina, inframezzato da apparizioni sporadiche che non ci avevano detto granchè dei motivi per cui la Vuelle l'aveva scelto. E se ai suoi 23' aggiungiamo i 15' giocati da Christoffersen – che intenerisce per gli errori ma che ha una mole interessante da spostare - dobbiamo ammettere che le risorse da estrarre dal gruppo non sono finite. Secondo alcuni Crespi ha forse aspettato troppo o ha solo aspettato il momento giusto, come ci spiega lui stesso.
«Sono due situazioni completamente diverse. Per Christoffersen sapevamo che doveva ancora mangiare molta pallacanestro prima di essere pronto perché nella sua vita ha giocato solo 72 partite, quelle con Oregon, al college. Io non ho intenzione di bruciarlo, ma negli accoppiamenti giusti, come con la può aiutarci e allora lo uso. Tutti i giorni Chris svolge un lavoro extra sulla tecnica individuale — prosegue il coach — che seguo personalmente e sono convinto che possa avere una grossa crescita anche in pochi mesi. Soprattutto lui ha una grandissima voglia di migliorare, di faticare, di ascoltare e sono aspetti fondamentali del carattere».
Diversa, la situazione di Gilbert. Ce la illustra?
«Clarence è stato preso per ricoprire un certo tipo di ruolo, quello dell'uomo che può cambiare la gara uscendo dalla panchina».
Com'è capitato a Bologna, no?
«Sì, ma fatemi finire perché è importante chiarire una volta per tutte. In precampionato io gli ho dato molto spazio e gli ho confuso le idee. Invece è importante avere dei ruoli definiti nella squadra e lavorare bene in allenamento. A un certo punto Clarence ha messo le sue aspettative personali davanti al resto e siccome il mio compito è di proteggere la squadra sono intervenuto. Ora lui ha capito ma comunque l'obiettivo non è riempire il tabellino ma vincere le partite».
Dicono che non è un play ed è troppo basso per giocare guardia, ma a Bologna ha spazzato via entrambi i dubbi…
«Basile è un play o una guardia? La verità è che per tanti giocatori questa definizione di ruoli è antiquata, possono giocare sia n.1 che 2. Quanto all'altezza, guardiamo ai migliori, i campioni d'Italia: spesso giocano con Edney e Bulleri che non mi sembrano alti due metri, eppure fanno bene. Anche qui, la verità è che contano le qualità e l'intelligenza dei giocatori prima dei centimetri».
Elisabetta Ferri
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