A mente fredda il rammarico per una sconfitta evitabile è più netto di quello avvertito nell'immediato dopo gara. «La partita con Cantù - rivela Andrea Mazzon - l'ho voluta riguardare in tv già domenica notte. Così ho potuto notare che, paradossalmente, abbiamo difeso peggio quando in campo avevo i due lunghi e che, nell'ultimo quarto, con i quattro piccoli schierati contemporaneamente, anche se gravato di quattro falli qualcuno poteva rischiare qualcosina in più. In quei momenti, infatti, abbiamo subito troppo docilmente le penetrazioni dell'Oregon».
Ci teneva da matti (come tutti del resto) a vincere la terza partita consecutiva, Mazzon. Perché mettere in fila una dietro l'altra Roma, Pesaro e Cantù dopo aver fatto soffrire Milano, Virtus Bologna e Treviso avrebbe consentito a Napoli di attirare su di sé le doverose attenzioni che solo una matricola terribile può guadagnarsi. E invece, come il coach della Pompea aveva «fiutato» in settimana, qualcosa nella sua squadra e nei suoi giocatori, soprattutto a livello mentale, non ha funzionato come previsto.
«Nei giorni che hanno preceduto l'incontro, avevo notato un'euforia eccessiva che poteva rivelarsi controproducente. E il conto ci è stato presentato con impietosa puntualità. A livello tecnico, il match di domenica l'abbiamo affrontato come si doveva. Durante la partita, però, credo che qualcuno abbia commesso l'errore di pensare che alla fine l'avremmo spuntata un'altra volta. Un ragionamento assolutamente vietato quando di fronte hai una squadra esperta come Cantù».
Rimandata ad altra data per affrontare un nuovo esame «da grande», Napoli si ritrova oggi a dover riflettere su quelle carenze già in passato sottolineate da Mazzon. «Non è questa la mentalità giusta che si deve avere se si vuole compiere un reale salto di qualità. Per farlo occorre essere più cattivi, avere l'istinto killer che ancora non appartiene al nostro dna. Solo con queste differenze, ne sono certo, riusciremo a fare effettivamente la differenza».
Quattro errori, commessi uno dietro l'altro a pochi secondi dallo scadere del match, hanno impedito alla Pompea di completare un miracolo (quello di una rimonta che ad un certo punto sembrava impossibile) lasciato solo a metà. Ma per Mazzon la sconfitta non è stata solo la logica conseguenza degli errori al tiro (da tre) di Greer e Gatto, dell'infrazione di passi compiuta da Stefano Rajola sul 76-79 o della sciagurata penetrazione di Penberthy sull'80-83. «Pensare quasi esclusivamente alle battute conclusive è quasi naturale. Ma altre cose, in precedenza, non mi avevano convinto. Se poi ci si vuol riferire solo alle gestione dei minuti finali, allora dico che in quei frangenti m'è sembrato di essere tornato alla partita d'esordio con Biella».
Deluso, ovviamente, anche il presidente Maione che ieri, però, ha accolto con soddisfazione la notizia dell'inizio dei lavori per la realizzazione della tensostruttura a Fuorigrotta.
Carlo Carione
Ci teneva da matti (come tutti del resto) a vincere la terza partita consecutiva, Mazzon. Perché mettere in fila una dietro l'altra Roma, Pesaro e Cantù dopo aver fatto soffrire Milano, Virtus Bologna e Treviso avrebbe consentito a Napoli di attirare su di sé le doverose attenzioni che solo una matricola terribile può guadagnarsi. E invece, come il coach della Pompea aveva «fiutato» in settimana, qualcosa nella sua squadra e nei suoi giocatori, soprattutto a livello mentale, non ha funzionato come previsto.
«Nei giorni che hanno preceduto l'incontro, avevo notato un'euforia eccessiva che poteva rivelarsi controproducente. E il conto ci è stato presentato con impietosa puntualità. A livello tecnico, il match di domenica l'abbiamo affrontato come si doveva. Durante la partita, però, credo che qualcuno abbia commesso l'errore di pensare che alla fine l'avremmo spuntata un'altra volta. Un ragionamento assolutamente vietato quando di fronte hai una squadra esperta come Cantù».
Rimandata ad altra data per affrontare un nuovo esame «da grande», Napoli si ritrova oggi a dover riflettere su quelle carenze già in passato sottolineate da Mazzon. «Non è questa la mentalità giusta che si deve avere se si vuole compiere un reale salto di qualità. Per farlo occorre essere più cattivi, avere l'istinto killer che ancora non appartiene al nostro dna. Solo con queste differenze, ne sono certo, riusciremo a fare effettivamente la differenza».
Quattro errori, commessi uno dietro l'altro a pochi secondi dallo scadere del match, hanno impedito alla Pompea di completare un miracolo (quello di una rimonta che ad un certo punto sembrava impossibile) lasciato solo a metà. Ma per Mazzon la sconfitta non è stata solo la logica conseguenza degli errori al tiro (da tre) di Greer e Gatto, dell'infrazione di passi compiuta da Stefano Rajola sul 76-79 o della sciagurata penetrazione di Penberthy sull'80-83. «Pensare quasi esclusivamente alle battute conclusive è quasi naturale. Ma altre cose, in precedenza, non mi avevano convinto. Se poi ci si vuol riferire solo alle gestione dei minuti finali, allora dico che in quei frangenti m'è sembrato di essere tornato alla partita d'esordio con Biella».
Deluso, ovviamente, anche il presidente Maione che ieri, però, ha accolto con soddisfazione la notizia dell'inizio dei lavori per la realizzazione della tensostruttura a Fuorigrotta.
Carlo Carione
Fonte: Il Mattino