NEW YORK - L’ultima volta che era passato per New York stava trattando Dejan Bodiroga per portarlo con sé al Real Madrid: era il mese di giugno. Nelle scorse settimane, lo sfondo era lo stesso, la Continental Arena dei New Jersey Nets dove si svolse l’ultima finale Nba, ma lo scenario della vita per Sergio Scariolo era cambiato: Bodiroga è finito al Barcellona e lui non ha più la panchina madridista. Disoccupato di lusso, il tecnico bresciano è venuto negli Usa per una decina di giorni, il tempo di uno stage ai Nets, squadra che con 5 vittorie in 7 partite in questo avvio della nuova stagione Nba, mostra di volersi candidare al titolo anche quest’anno. Scariolo, se le offrono un lavoro negli Usa, lei lo accetta?
«Sì, il mio agente lo sa: se mi propongono il ruolo di vice allenatore da qualche parte, dunque un posto ben delineato, parto subito».
Perché ha scelto New Jersey?
«Perché ho contatti con lo staff fin dai tempi in cui allenavo la Fortitudo e lavoravo con Rich Dalatri, oggi preparatore atletico dei Nets, oltre che della nazionale italiana. Infine, il loro gioco, basato sui passaggi più che sui blocchi e i giochi a due, è il più simile a quello europeo».
La sconfitta estiva del Dream Team al Mondiale ha insegnato qualcosa?
«Non mi sembra che sia stato dato molto risalto. Ma David Stern (il commissioner della Nba, n.d.r ) l’ha detto chiaro: l’Europa sta raggiungendo gli Usa. E ha ricordato una partita alla quale tengo molto, quella in cui la rincorsa cominciò: fu a un McDonald’s Open, nel ’90 a Barcellona; la mia Scavolini perse solo al supplementare contro i New York Knicks, 109-105. Oggi non è un caso se il McDonald’s non si disputa più...».
Dunque, la Nba trema?
«Non esageriamo, non è proprio così. Il messaggio è che anche gli assi dei professionisti devono allenarsi per bene quando salgono sulla scena internazionale. Non possono più pensare di andare a un Mondiale, e di vincerlo, con dieci allenamenti e due partitine. Il Dream Team formato da Bird, Jordan e Magic fu un episodio unico e irripetibile».
Visti da vicino, in che cosa sono migliori gli americani rispetto alle squadre europee di vertice?
«A parte il numero enorme di giocatori sui quali possono contare, grazie a un formidabile serbatoio naturale, sono fortissimi nell’organizzazione. Ogni dettaglio è curato, ci sono decine di persone al tuo servizio che rendono un lavoro semplice giocare a basket e allenare. Poi, mi hanno colpito l’intensità degli allenamenti, la grande concentrazione e l’etica del lavoro di gente affermata come Jason Kidd. Davvero impressionante, anche se qui siamo al cospetto di una squadra che ha disputato la finale».
Che cosa, invece, possono «rubare» agli europei?
«I segreti per l’uso e l’attacco della difesa a zona: in questo siamo più avanti, dal momento che nella Nba l’hanno adottata dalla scorsa stagione . Non a caso, mi fanno molte domande in proposito. E comunque gli americani ci stanno già spiando: il settore dello scouting è stato molto potenziato».
Adesso si sconsiglia perfino un ragazzo che vuole sfondare nel basket di frequentare le famose Università: è vero?
«Un giocatore giovane che ha la possibilità di essere titolare in Europa fa bene ad andarci o a restarci: l’intensità di un campionato europeo è superiore a quella di una stagione di college , dove si gioca e si cresce meno».
Tanti giocatori finiscono nei guai, nella Nba. Molti passano per la galera e questo capita anche ai più affermati: che cosa ne pensa?
«Occorre valutare caso per caso. Capire da dove proviene ciascuno, ‘‘pesare’’ la sua estrazione sociale. Spesso è gente al quale il basket ha salvato la vita, però non è detto che una volta ricchi e affermati riescano a trovare un equilibrio».
A proposito: nessun italiano gioca nella Nba. Come mai?
«Purtroppo in questo momento non abbiamo talenti di questo livello. Mi spiace dirlo, ma è una questione di ambizione: da noi manca. E poi si sta bene nella nostra serie A. Non crediate che la vita nella Nba sia facile, anche se si è al massimo livello: si è soli per otto mesi l’anno, in giro per l’America, chiusi in stanze d’albergo, spesso senza amici né famiglia. No, non è fatta per gli italiani...».
I «suoi» Nets, travolti per 4-0 dai Lakers nell’ultima finale, questa volta potranno farcela?
«È difficile. Possono rivincere il titolo all’Est, ma la corona assoluta sarà ancora appannaggio di una squadra dell’Ovest. E io dico che Sacramento, matura e motivata, ha un’occasione irripetibile per spezzare il dominio di Los Angeles».
Riccardo Romani
«Sì, il mio agente lo sa: se mi propongono il ruolo di vice allenatore da qualche parte, dunque un posto ben delineato, parto subito».
Perché ha scelto New Jersey?
«Perché ho contatti con lo staff fin dai tempi in cui allenavo la Fortitudo e lavoravo con Rich Dalatri, oggi preparatore atletico dei Nets, oltre che della nazionale italiana. Infine, il loro gioco, basato sui passaggi più che sui blocchi e i giochi a due, è il più simile a quello europeo».
La sconfitta estiva del Dream Team al Mondiale ha insegnato qualcosa?
«Non mi sembra che sia stato dato molto risalto. Ma David Stern (il commissioner della Nba, n.d.r ) l’ha detto chiaro: l’Europa sta raggiungendo gli Usa. E ha ricordato una partita alla quale tengo molto, quella in cui la rincorsa cominciò: fu a un McDonald’s Open, nel ’90 a Barcellona; la mia Scavolini perse solo al supplementare contro i New York Knicks, 109-105. Oggi non è un caso se il McDonald’s non si disputa più...».
Dunque, la Nba trema?
«Non esageriamo, non è proprio così. Il messaggio è che anche gli assi dei professionisti devono allenarsi per bene quando salgono sulla scena internazionale. Non possono più pensare di andare a un Mondiale, e di vincerlo, con dieci allenamenti e due partitine. Il Dream Team formato da Bird, Jordan e Magic fu un episodio unico e irripetibile».
Visti da vicino, in che cosa sono migliori gli americani rispetto alle squadre europee di vertice?
«A parte il numero enorme di giocatori sui quali possono contare, grazie a un formidabile serbatoio naturale, sono fortissimi nell’organizzazione. Ogni dettaglio è curato, ci sono decine di persone al tuo servizio che rendono un lavoro semplice giocare a basket e allenare. Poi, mi hanno colpito l’intensità degli allenamenti, la grande concentrazione e l’etica del lavoro di gente affermata come Jason Kidd. Davvero impressionante, anche se qui siamo al cospetto di una squadra che ha disputato la finale».
Che cosa, invece, possono «rubare» agli europei?
«I segreti per l’uso e l’attacco della difesa a zona: in questo siamo più avanti, dal momento che nella Nba l’hanno adottata dalla scorsa stagione . Non a caso, mi fanno molte domande in proposito. E comunque gli americani ci stanno già spiando: il settore dello scouting è stato molto potenziato».
Adesso si sconsiglia perfino un ragazzo che vuole sfondare nel basket di frequentare le famose Università: è vero?
«Un giocatore giovane che ha la possibilità di essere titolare in Europa fa bene ad andarci o a restarci: l’intensità di un campionato europeo è superiore a quella di una stagione di college , dove si gioca e si cresce meno».
Tanti giocatori finiscono nei guai, nella Nba. Molti passano per la galera e questo capita anche ai più affermati: che cosa ne pensa?
«Occorre valutare caso per caso. Capire da dove proviene ciascuno, ‘‘pesare’’ la sua estrazione sociale. Spesso è gente al quale il basket ha salvato la vita, però non è detto che una volta ricchi e affermati riescano a trovare un equilibrio».
A proposito: nessun italiano gioca nella Nba. Come mai?
«Purtroppo in questo momento non abbiamo talenti di questo livello. Mi spiace dirlo, ma è una questione di ambizione: da noi manca. E poi si sta bene nella nostra serie A. Non crediate che la vita nella Nba sia facile, anche se si è al massimo livello: si è soli per otto mesi l’anno, in giro per l’America, chiusi in stanze d’albergo, spesso senza amici né famiglia. No, non è fatta per gli italiani...».
I «suoi» Nets, travolti per 4-0 dai Lakers nell’ultima finale, questa volta potranno farcela?
«È difficile. Possono rivincere il titolo all’Est, ma la corona assoluta sarà ancora appannaggio di una squadra dell’Ovest. E io dico che Sacramento, matura e motivata, ha un’occasione irripetibile per spezzare il dominio di Los Angeles».
Riccardo Romani