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Fabriano si scioglie per Monroe

«Grazie a tutti, mi sento emozionato»

FABRIANO — Ore 18,07, appuntamento con la storia. Appuntamento con «tre anni di grandi emozioni, grazie Rod», come recitava lo striscione della tifoseria fabrianese mentre la platea schizzava tutta in piedi. Appuntamento con 2515 punti realizzati con la canotta biancoblù e con il cuore che batte forte quando rivedi la leggenda camminare su quelle tavole in cui l'ha sempre fatta da padrone. Appuntamento con l'amore per il basket cartaio più forte della rivalità contro i sempre numerosissimi rosetani e le ansie di una società che barcolla ma ha un mese di tempo per non mollare. Per due minuti intrisi di passione è come se il tempo si fosse fermato a contemplare l'uomo simbolo dell'ultimo decennio di un club che, soprattutto per lo smisurato amore dei suoi seguaci, meriterebbe di scrivere ancora mille altre pagine zuppe di canestri e gioie. Ore 18,07, dunque. Rodney Monroe, gilet marrone e cappellino azzurro in testa, conquista il centrocampo, mentre esplode lo smisurato amore di una città ancora affamatissima di palla a spicchi. Un'estasi collettiva per il «signor trepunti» che riceve prima il premio della società consegnato dal presidente Alberti e sùbito dopo quello dei sostenitori, mentre lo speaker ci mette un minutino a declamare i numeri del campione. Ragazzi e ragazze con gli occhi umidi, anzi proprio bagnati, fanno la fila alla transenna per strappargli un cinque o un bacio. Se qualcuno pensava che la città fosse stata freddina per il tempo record con cui quest'estate Monroe avesse firmato con gli abruzzesi senza aspettare eventuali rilanci di Fabriano, è servito. E lui? Lui che dice? Lui, incarnazione del sogno cestistico con cui è cresciuta gran parte della nuova generazione cittadina, all'inizio scherza. «Davvero mi danno un premio?», chiede prima di ritirare gli omaggi. «Speriamo che siano soldi…». Poi, però, il professionista si scioglie quando arrivano ad abbracciarlo capitan Gattoni, il presidente Alberti, ma pure lo chef del ristorante di fiducia e una lunga serie di «giacche gialle» impegnate al controllo degli spalti. «Per noi – spiega uno dei tanti aficionados estasiati – Rod è un simbolo come il museo della carta o la fondana Sturinalto». Perderlo con una squadra come questa che da sei metri in su non fa mai canestro è una ferita anor più lacerante.
«Grazie a tutti, mi sento emozionato», confida al vicino di banco l'angelo cestistico di Baltimore a inizio gara. E la partita, la sua partita del cuore, la vede a metà, perché sono tante, ma proprio tante le occasioni in cui stacca gli occhi dal campo per coccolarsi due piccoli ricordi, custodi di un amore che non si dimentica. Un amore immenso costruito non solo con i canestri.
a.d.m.
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