FABRIANO — Aleggia in città uno strano e colpevole clima di rassegnazione al peggio, mentre la clessidra inghiotte sempre più polvere e si accinge ad introdurre il giorno della verità di venerdì prossimo. Nascosto dietro l'alibi del milioncino di euro di «rosso» (saldabile, da chi potrebbe, con… un paio di alzate di cornetta da trenta secondi l'una) il basso, medio e alto potentato cittadino lascia che l'inspiegabile destino cestistico arrivi al capolinea, evitando di combattere.
Non combatte più, in primis, lo sfilacciato Consiglio di amministrazione attuale che giovedì sera si è riunito per tre ore senza cavare un ragno dal buco, preoccupandosi soltanto di trovare l'escamotage per tenersi stretto il capitale economico del settore giovanile in caso di liquidazione societaria. Non combatte più la Carifac che in estate aveva lanciato l'ancora per attraccare al molo della salvezza e ora comincia a ritirarla, assieme alle maglie sponsorizzare misteriosamente assenti da tre gare a questa parte. Non combatte più (se mai ha cominciato a farlo) la «città dormitorio» che evidentemente questa fine cestistica si merita, tutta assorta e timorosa di confessare la propria fede, mentre, venerdì sera, gli impagabili «under 30» urlavano il loro dolore in pieno centro srotolando polemicamente il bandierone. Ha smesso di combattere, e spiace veramente dirlo, il sindaco Sorci che per un buon mesetto aveva impugnato la questione basket con l'autorità istituzionale di cercatore e coagulatore di forze, ma ora comincia a mollare senza rendersi conto di come il giocattolo basket sia essenziale per far divertire e tenere quieta l'operosa Fabriano.
Lancia in resta, insomma, sono rimasti in pochi. Il solito Ninno, che magari vorrà sempre un posto in prima fila nella palla a spicchi fabrianese, ma, caspita, quando il gioco si fa duro è ancora lì a proporre nuove strade. Il piccolo Alberti, Don Chisciotte abbandonato da un Cda impotente, mentre la squadra (a Treviso come non mai) fa i conti con i suoi oggettivi limiti tecnici e di organico. Tutto qua. E poi dicono che, in caso di arrivi «esterni», certe cordate non fabrianesi sarebbero poco gradite perché rischierebbero di trasferire la squadra in altra sede. In realtà, qualora si materilizzassero, rinunciare volontariamente a simili occasioni sarebbe solo l'ultimo di tanti, troppi, assurdi controsensi.
Alessandro Di Marco
Non combatte più, in primis, lo sfilacciato Consiglio di amministrazione attuale che giovedì sera si è riunito per tre ore senza cavare un ragno dal buco, preoccupandosi soltanto di trovare l'escamotage per tenersi stretto il capitale economico del settore giovanile in caso di liquidazione societaria. Non combatte più la Carifac che in estate aveva lanciato l'ancora per attraccare al molo della salvezza e ora comincia a ritirarla, assieme alle maglie sponsorizzare misteriosamente assenti da tre gare a questa parte. Non combatte più (se mai ha cominciato a farlo) la «città dormitorio» che evidentemente questa fine cestistica si merita, tutta assorta e timorosa di confessare la propria fede, mentre, venerdì sera, gli impagabili «under 30» urlavano il loro dolore in pieno centro srotolando polemicamente il bandierone. Ha smesso di combattere, e spiace veramente dirlo, il sindaco Sorci che per un buon mesetto aveva impugnato la questione basket con l'autorità istituzionale di cercatore e coagulatore di forze, ma ora comincia a mollare senza rendersi conto di come il giocattolo basket sia essenziale per far divertire e tenere quieta l'operosa Fabriano.
Lancia in resta, insomma, sono rimasti in pochi. Il solito Ninno, che magari vorrà sempre un posto in prima fila nella palla a spicchi fabrianese, ma, caspita, quando il gioco si fa duro è ancora lì a proporre nuove strade. Il piccolo Alberti, Don Chisciotte abbandonato da un Cda impotente, mentre la squadra (a Treviso come non mai) fa i conti con i suoi oggettivi limiti tecnici e di organico. Tutto qua. E poi dicono che, in caso di arrivi «esterni», certe cordate non fabrianesi sarebbero poco gradite perché rischierebbero di trasferire la squadra in altra sede. In realtà, qualora si materilizzassero, rinunciare volontariamente a simili occasioni sarebbe solo l'ultimo di tanti, troppi, assurdi controsensi.
Alessandro Di Marco
Fonte: Il Resto del Carlino