Per quelli che il basket hanno cominciato a masticarlo negli anni Ottanta, Livorno evoca tormento ed estasi, la finale scudetto '89, la partita più drammatica della storia dell´Olimpia. Gara 5, la Philips in vantaggio di un punto allo scadere, i tuffi di McAdoo, il canestro di Forti sulla sirena convalidato in mezzo alla bolgia del PalaAllende, il collegamento Rai concluso con l´annuncio della vittoria labronica, il ribaltamento del referto negli spogliatoi, le risse, la fuga dentro a un cellulare della polizia. E lo scudetto, l´ultimo della generazione magica di D´Antoni, Meneghin, Premier, McAdoo e Casalini in panchina.
Leggende tramandate con religiosa devozione dai tifosi Olimpia. Oggi la squadra toscana è un´avversaria qualsiasi, l´eredità della Libertas di allora è stata raccolta dal Basket Livorno targato Mabo, ad oggi la nidiata più prolifica per il movimento azzurro dell´ultima generazione. Da Parente a Garri, da Cotani a Giachetti, passando per Santarossa e Bertocci, un mucchio selvaggio di ragazzini sfrontati e già pronti per i palcoscenici che contano.
Per Martin Rancik e Manuel Vanuzzo, la strana coppia di mezzi lunghi a disposizione di coach Caja, una trasferta che mette i brividi. «Questi sono giovani e corrono - sottolinea Vanuzzo - erano già protagonisti due anni fa quando salirono in serie A e sono andati a piegare Varese in trasferta. Livorno è una piazza calda, però loro sono discontinui e noi non vogliamo fare sconti a nessuno». Lo slovacco rincara: «Tutti parlano di playoff e obiettivi a lunga scadenza, ma i miei playoff li gioco oggi. In precampionato ci hanno messo sotto e Elliott, il mio avversario diretto, fa canestro da ogni posizione. È una sfida delicata, non possiamo permetterci cali di concentrazione».
Gemelli diversi, Vanuzzo e Rancik, come diverso è il loro modo di interpretare il ruolo, da 4: tecnico il veneto, che ama tirare da fuori («Ma Caja mi sta chiedendo di prendermi più responsabilità, anche da sotto») e ha anche istinto naturale per i rimbalzi; più atletico lo slovacco, che però finora sotto i vetri sta facendo più fatica del preventivato. «Patetico è la parola adeguata - ammette candidamente - 4 rimbalzi a partita per un lungo è una cifra ridicola e non faccio fatica ad ammetterlo. Ci sto lavorando su, mi confortano però le cifre in attacco, sto tirando col 60% da fuori e da sotto».
In comune hanno gli urlacci di Caja, di cui sono bersagli privilegiati in allenamento, e la provincia. Rancik è di Nytra dove aveva cominciato da nuotatore («A sedici anni col basket volevo smettere, non mi divertivo più, poi mia mamma cestista e un buon allenatore mi hanno convinto a continuare»), le prime luci della ribalta le ha conosciute in America, al College, Iowa State: «Lì non hanno squadre professionistiche, noi e quelli del football eravamo le vere star, come i giocatori di Inter e Milan da voi. Avevamo 14.500 spettatori al palazzo ogni sera, una bolgia». Vanuzzo è di Fiesso d´Artico, Venezia, dove spesso torna a dare una mano nel negozio di alimentari dei suoi: «Ho giocato sempre in realtà piccole, Padova, Montecatini e poi Messina, faccio fatica a digerire Milano. Non ho ancora imparato le strade e guardare fuori dalla finestra, tutto quel grigio, mi mette angoscia». I tifosi, però, lo hanno già adottato, in sette partite si è guadagnato i cori della curva: «Non li ho sentiti - si schermisce - ma vedo un attaccamento sempre maggiore a questa squadra».
L´infortunio di Paolo Alberti, che a Livorno marcherà visita con una caviglia gonfia, darà ulteriore spazio alla strana coppia, già sperimentata a lungo da Caja come arma tattica in un quintetto da corsa senza pivot. «Finora funzioniamo - ammette Rancik - soprattutto come arma difensiva. È il bello di questo gruppo, ognuno è disposto a sbucciarsi un ginocchio per il compagno». Il quintetto piccolo piace anche a Vanuzzo: «È l´ideale per il basket aggressivo che ci chiede il coach, ma pure con Kidd e Alberti siamo molto veloci. E anche a Livorno andremo per correre».
Così in campo al Palamacchia, palla a due alle 18,15.
MABO: Parente, Sambugaro, Santarossa, Elliott, Mutavdzic; Giachetti, McLeod, Cotani, Garri, Bertocci. Coach: Luca Banchi.
PIPPO: Coldebella, Simpkins, Sconochini, Rancik, Kidd; Naumoski, Gallea, Niccolai, Ferroni, Vanuzzo. Coach: Attilio Caja.
Arbitri: Zancanella, Anesin e Pasetto.
Massimo Pisa
Leggende tramandate con religiosa devozione dai tifosi Olimpia. Oggi la squadra toscana è un´avversaria qualsiasi, l´eredità della Libertas di allora è stata raccolta dal Basket Livorno targato Mabo, ad oggi la nidiata più prolifica per il movimento azzurro dell´ultima generazione. Da Parente a Garri, da Cotani a Giachetti, passando per Santarossa e Bertocci, un mucchio selvaggio di ragazzini sfrontati e già pronti per i palcoscenici che contano.
Per Martin Rancik e Manuel Vanuzzo, la strana coppia di mezzi lunghi a disposizione di coach Caja, una trasferta che mette i brividi. «Questi sono giovani e corrono - sottolinea Vanuzzo - erano già protagonisti due anni fa quando salirono in serie A e sono andati a piegare Varese in trasferta. Livorno è una piazza calda, però loro sono discontinui e noi non vogliamo fare sconti a nessuno». Lo slovacco rincara: «Tutti parlano di playoff e obiettivi a lunga scadenza, ma i miei playoff li gioco oggi. In precampionato ci hanno messo sotto e Elliott, il mio avversario diretto, fa canestro da ogni posizione. È una sfida delicata, non possiamo permetterci cali di concentrazione».
Gemelli diversi, Vanuzzo e Rancik, come diverso è il loro modo di interpretare il ruolo, da 4: tecnico il veneto, che ama tirare da fuori («Ma Caja mi sta chiedendo di prendermi più responsabilità, anche da sotto») e ha anche istinto naturale per i rimbalzi; più atletico lo slovacco, che però finora sotto i vetri sta facendo più fatica del preventivato. «Patetico è la parola adeguata - ammette candidamente - 4 rimbalzi a partita per un lungo è una cifra ridicola e non faccio fatica ad ammetterlo. Ci sto lavorando su, mi confortano però le cifre in attacco, sto tirando col 60% da fuori e da sotto».
In comune hanno gli urlacci di Caja, di cui sono bersagli privilegiati in allenamento, e la provincia. Rancik è di Nytra dove aveva cominciato da nuotatore («A sedici anni col basket volevo smettere, non mi divertivo più, poi mia mamma cestista e un buon allenatore mi hanno convinto a continuare»), le prime luci della ribalta le ha conosciute in America, al College, Iowa State: «Lì non hanno squadre professionistiche, noi e quelli del football eravamo le vere star, come i giocatori di Inter e Milan da voi. Avevamo 14.500 spettatori al palazzo ogni sera, una bolgia». Vanuzzo è di Fiesso d´Artico, Venezia, dove spesso torna a dare una mano nel negozio di alimentari dei suoi: «Ho giocato sempre in realtà piccole, Padova, Montecatini e poi Messina, faccio fatica a digerire Milano. Non ho ancora imparato le strade e guardare fuori dalla finestra, tutto quel grigio, mi mette angoscia». I tifosi, però, lo hanno già adottato, in sette partite si è guadagnato i cori della curva: «Non li ho sentiti - si schermisce - ma vedo un attaccamento sempre maggiore a questa squadra».
L´infortunio di Paolo Alberti, che a Livorno marcherà visita con una caviglia gonfia, darà ulteriore spazio alla strana coppia, già sperimentata a lungo da Caja come arma tattica in un quintetto da corsa senza pivot. «Finora funzioniamo - ammette Rancik - soprattutto come arma difensiva. È il bello di questo gruppo, ognuno è disposto a sbucciarsi un ginocchio per il compagno». Il quintetto piccolo piace anche a Vanuzzo: «È l´ideale per il basket aggressivo che ci chiede il coach, ma pure con Kidd e Alberti siamo molto veloci. E anche a Livorno andremo per correre».
Così in campo al Palamacchia, palla a due alle 18,15.
MABO: Parente, Sambugaro, Santarossa, Elliott, Mutavdzic; Giachetti, McLeod, Cotani, Garri, Bertocci. Coach: Luca Banchi.
PIPPO: Coldebella, Simpkins, Sconochini, Rancik, Kidd; Naumoski, Gallea, Niccolai, Ferroni, Vanuzzo. Coach: Attilio Caja.
Arbitri: Zancanella, Anesin e Pasetto.
Massimo Pisa
Fonte: La Repubblica