Dopo le gioie del tiro da tre, ecco i... dolori

PESARO — Raccontano che in sala stampa Crespi sia stato brusco con i giornalisti che andavano a cogliere tutti i possibili fiori del «male» di questa gara. E se uno va a spulciare lungo 40 minuti di gara trova di tutto (soprattutto basket pessimo) e molta materia di discussione. Ma sostanzialmente la gara si stringe due due fattori: da una parte Richardson che dopo Roseto s'è tuffato in una partita indecorosa e inconcludente. Forse gli avranno fatto male le troppe lodi ricevute in terra abruzzese. Sull'altro fronte c'é quel signore che risponde al nome di Jones. Un atleta che ricorda Todd Day, uno dei quei giocatori che quando si sentono baciati dalla Madonna, buttano dentro tutto. Anche dagli spogliatoi. L'unica arma possibile era una Colt. Perchè Pesaro (ma anche tante altre formazioni) non ha giocatori da spedire laggiù, ai confini del Far West. Gente veloce, alta, in grado di difendere verticalmente per mettere in difficoltà un atleta come Jones.
Una gara, quella contro Napoli, da mettere tra quelle che potevi vincere, mai hai perso; così come quella contro Trieste era una partita persa, poi vinta. E nemmeno alla stessa maniera: perchè i tre colpi mortali sparati da Richardson contro la formazione di Pancotto avevano proprio del miracoloso, mentre quelli che Jones ha messo contro la Scavolini (7 su 8 nelle bombe), erano tiri in solitudine proprio perchè lassù, fuori del cerchio dei tre punti, Pesaro non è in grado di alzare barriere difensive. Questo sostanzialmente il succo di questa gara che la Scavolini ha giocato in maniera proletaria costruendo mattone dopo mattone una possibile vittoria. Poi è arrivata la folata della genialità cestistica che hanno certi negri quando sono baciati dal Dio basket. Jones guardava la linea da tre, controllava i piedi e faceva partire la saetta lasciando penzolare la mano morbida mentre il pallone s'infilava. Giocate rare, ma succedono.
Maurizio Gennari