FABRIANO — Un centinaio tra auto e motorini in giro strombazzanti per la città con almeno trecento partecipanti al corteo motorizzato. Poi il bandierone srotolato giusto dinanzi agli storici simboli della città, la fontana Sturinalto e l'uscio del municipio in pieno centro.
Decisamente una manifestazione a effetto inscenata dalla tifoseria che ieri sera, davanti alle telecamere della Rai e al resto della città esterreffato e al solito fin troppo discreto e timoroso, è tornata a urlare il dolore per la pallacanestro fabrianese in preda a un'irrefrenabile crisi economica. Comunque vada a finire, almeno loro, quelli del club «Alta tensione» e degli ex Commandos stanno facendo l'impossibile per scuotere la Fabriano che conta.
Sempre più dura. Al «summit» da fumata nera di giovedì sera ne seguiranno altri, ma intanto anche il proverbiale ottimismo del presidente Giuseppe Alberti comincia a vacillare sotto i colpi dell'indifferenza dei potenti. «Tutti devono capire che l'otto novembre è davvero una data spartiacque tra la vita e la morte della società», lancia un nuovo accorato appello il massimo dirigente. «E' una scadenza precisa e spietata, non un passaggio tecnico qualunque. Insomma, qui in pochi giorni si decide il destino della bandiera sportiva della città e il tempo stringe». Lunedì il presidente dovrebbe incontrarsi con Antonio Ninno, forse uno dei pochi ancora in «trincea» per tentare il salvataggio. E le possibili cordate forestiere? «Io non ne so nulla», ammette Alberti. «Qualsiasi ipotesi a questo punto è ben accetta, a patto che la squadra resti in città. Comunque continuo a sostenere che Fabriano avrebbe ampiamente le potenzialità per risolvere da sola questo impiccio».
Potenti ingrati. «Speriamo che non si calpesti un miracolo sportivo, autentico orgoglio della città da trent'anni a questa parte», è l'invocazione di Roberto Carmenati, di nuovo più fabrianese che allenatore. Grido sacrosanto in un comprensorio che (ragionando in vecchie lire, così ci capiamo meglio) esprime 17 mila miliardi di fatturato annuo, ha ricervato qualcosa come 1300 miliardi statali per la ripresa post sismica e vanta, più o meno, 16 mila conti correnti tra i proliferanti istituti di credito del posto. Numeri spaventosi, ma ce n'è uno ancor più impressionante. Tirati giù due conti la benestante Fabriano sforna un fatturato di 60 miliardi per ogni giorno lavorativo, roba che il basket ci andrebbe avanti per quindici anni… E allora dov'è l'arcano? Semplicemente in quel cane che si morde la coda con i vecchi a ripetere lo slogan «abbiamo già dato» e i nuovi a non volere mettere mano al regresso. Eppure, mai come ora, l'unione farebbe la forza.
Alessandro Di Marco
Decisamente una manifestazione a effetto inscenata dalla tifoseria che ieri sera, davanti alle telecamere della Rai e al resto della città esterreffato e al solito fin troppo discreto e timoroso, è tornata a urlare il dolore per la pallacanestro fabrianese in preda a un'irrefrenabile crisi economica. Comunque vada a finire, almeno loro, quelli del club «Alta tensione» e degli ex Commandos stanno facendo l'impossibile per scuotere la Fabriano che conta.
Sempre più dura. Al «summit» da fumata nera di giovedì sera ne seguiranno altri, ma intanto anche il proverbiale ottimismo del presidente Giuseppe Alberti comincia a vacillare sotto i colpi dell'indifferenza dei potenti. «Tutti devono capire che l'otto novembre è davvero una data spartiacque tra la vita e la morte della società», lancia un nuovo accorato appello il massimo dirigente. «E' una scadenza precisa e spietata, non un passaggio tecnico qualunque. Insomma, qui in pochi giorni si decide il destino della bandiera sportiva della città e il tempo stringe». Lunedì il presidente dovrebbe incontrarsi con Antonio Ninno, forse uno dei pochi ancora in «trincea» per tentare il salvataggio. E le possibili cordate forestiere? «Io non ne so nulla», ammette Alberti. «Qualsiasi ipotesi a questo punto è ben accetta, a patto che la squadra resti in città. Comunque continuo a sostenere che Fabriano avrebbe ampiamente le potenzialità per risolvere da sola questo impiccio».
Potenti ingrati. «Speriamo che non si calpesti un miracolo sportivo, autentico orgoglio della città da trent'anni a questa parte», è l'invocazione di Roberto Carmenati, di nuovo più fabrianese che allenatore. Grido sacrosanto in un comprensorio che (ragionando in vecchie lire, così ci capiamo meglio) esprime 17 mila miliardi di fatturato annuo, ha ricervato qualcosa come 1300 miliardi statali per la ripresa post sismica e vanta, più o meno, 16 mila conti correnti tra i proliferanti istituti di credito del posto. Numeri spaventosi, ma ce n'è uno ancor più impressionante. Tirati giù due conti la benestante Fabriano sforna un fatturato di 60 miliardi per ogni giorno lavorativo, roba che il basket ci andrebbe avanti per quindici anni… E allora dov'è l'arcano? Semplicemente in quel cane che si morde la coda con i vecchi a ripetere lo slogan «abbiamo già dato» e i nuovi a non volere mettere mano al regresso. Eppure, mai come ora, l'unione farebbe la forza.
Alessandro Di Marco
Fonte: Il Resto del Carlino