È stato un pomeriggio molto speciale quello vissuto domenica scorsa a Pesaro da Diego Flaccadori, playmaker della Dolomiti Energia Trentino che, con i 17 punti messi a referto contro la Carpegna Prosciutto, non solo ha contribuito attivamente alla conquista della dodicesima vittoria stagionale della sua formazione ma ha anche tagliato il prestigioso traguardo personale dei 2000 punti segnati in carriera nel massimo campionato italiano.
Qui, l’esterno classe 1996 di Seriate ha sempre vestito la canotta dell’Aquila, una seconda pelle che, dopo sette stagioni, Flaccadori può dire ormai di avere praticamene cucita addosso. Poste le basi nel 2014, infatti, dopo diverse avventure e momenti più e meno esaltanti trascorsi assieme, oggi il legame costruito dall’ex Bayern Monaco con la squadra, la tifoseria e la città è davvero quantomai solido.
A testimoniarlo vi sono non soltanto i risultati recenti conseguiti sul campo in Italia e in Europa ma anche i ricordi più speciali della sua vita su un parquet, i rapporti profondi con più d’una persona, le lezioni importanti da tramandare ai più giovani e, infine, gli investimenti economici già compiuti sul territorio trentino.
Approfittando del milestone raggiunto dal numero 12 bianconero nell’ultimo turno di Serie A UnipolSai 2022/23 e del suo 27° compleanno che cade proprio oggi, abbiamo chiacchierato con lui nelle “5 domande a ...” di questa settimana.
Domenica hai tagliato il traguardo dei 2000 punti in Serie A, 2000 punti che hai segnato tutti con la maglia dell’Aquila: qual è, ad oggi, il momento più bello che hai vissuto con Trento?
L'attimo più bello è stato sicuramente il momento in cui è finita Gara 5 della semifinale playoff con Milano della stagione 2016/2017: ricordo che in quel frangente, per dieci minuti, mi sono sentito davvero come su un altro pianeta perché la sensazione di soddisfazione che abbiamo provato tutti, io in primis, società e tifosi, è stato un momento che mai avremmo pensato di vivere. Credo sia stato un momento, oltre che bellissimo, anche molto significativo perché ha fatto capire a tutti che, credendo davvero in ciò che si fa rimanendo determinati fino in fondo, anche se sei una squadra di una città che è un ventesimo di una metropoli puoi farcela lo stesso. Questo è l’istante che indicherei. In generale, poi, il periodo dei primi playoff vissuti da protagonista (e da protagonisti) è stato sicuramente quello più elettrizzante degli anni vissuti a Trento fin qui.
C’è un canestro, segnato con Trento, che ricordi con particolare piacere? Uno che proprio ti è rimasto dentro?
Sicuramente mi è rimasto dentro, ma credo anche ai tifosi di Trento, il canestro che è stato inserito nel videoclip realizzato per il mio ritorno in città dopo i due anni passati a Monaco di Baviera. Si tratta del canestro segnato contro Venezia a quaranta secondi dalla sirena di Gara 6 della Finale playoff 2017. Me lo ricordo perché, oltre a essere stato importante per il momento in cui è arrivato, fu un canestro che davvero mi elettrizzò: la sensazione di poter di riaprire una serie che sembrava chiusa completamente mi diede una scarica di adrenalina incredibile. Assieme a questo, un altro canestro che ricordo con molto piacere è il mio primo canestro in Serie A, ossia una bomba segnata su un campo, quello di Varese, che mi è sempre piaciuto tantissimo e dove, dopo le partite da ragazzino, sono andato vicinissimo anche a giocare con la maglia della Openjobmetis: per tutti questi motivi quel canestro ha un significato molto speciale.
Chi ha inciso maggiormente sul tuo sviluppo e la tua crescita come giocatore di pallacanestro ma anche come uomo?
Citare una persona è impossibile, farei un torto ad altri per l'importanza che hanno avuto quindi devo elencare almeno quattro nomi. Il primo è sicuramente quello di Salvatore Trainotti, è la persona che, da quando avevo 17 anni ha più creduto in me dandomi un’opportunità e una chance incredibili. Legato a lui, faccio poi il nome di Maurizio Buscaglia che è stato l'allenatore che mi ha voluto a Trento e mi ha subito trasmesso entusiasmo e grande carica nel voler costruire un percorso con me. Proseguo con Christian Verona che è stato il preparatore dal secondo al mio quinto anno all’Aquila Basket. È una persona molto importante per me: è lui, infatti, che mi ha martellato, mi ha tartassato tutti i giorni per costruire il fisico che ho adesso, un fisico che grazie a lui sono riuscito a migliorare e a preservare il più possibile dagli infortuni muscolari. Infine, c’è Lele Molin che ovviamente è stato l'allenatore e la persona che ha creduto in me forse anche più degli altri. Mi ha riportato a Trento, affidandomi un ruolo di grande responsabilità portando avanti, ancora oggi, la sua visione e il suo desiderio di voler provare a far qualcosa di bello insieme. Con loro citerei anche altre due persone fantastiche come il dottore e il fisioterapista di Trento, Fabio Diana e Giacomo ‘Jack’ Becucci. La mamma? A parte le figure legate alla pallacanestro, lei resta ovviamente al primo posto. Famosi i suoi panini alla Nutella prepartita (ride, ndr)!
Oltre al basket, anche le tue recenti esperienze imprenditoriali ti hanno legato ancor più visceralmente alla città di Trento. Dopo Panino Lovers e Lainez Rooms & Suites hai già in mente dove e su cosa farai i tuoi prossimi investimenti? Bolle qualcosa in pentola da questo punto di vista?
Sicuramente quello dell'immobiliare è un mondo che mi piace tantissimo, in cui credo fortemente e che, penso, rappresenterà poi il mio futuro. La gestione di appartamenti o di strutture come B&B, anche in altre località (magari balneari), è il genere di attività che più m’interessa perché è un lavoro che ti permette di conoscere tantissime persone e culture diverse.
Oggi non sono presente 365 giorni all'anno, mi capita al mattino di incontrare le persone che fanno colazione nel B&B che gestiamo e con loro mi piace prendere il caffè e scambiare due chiacchiere. Succede ovviamente anche di avere a che fare con persone di Trento e quindi, magari, di finire a conversare della partita del giorno prima o del giorno dopo. Tutto ciò è qualcosa che mi piace parecchio.
Sempre guardando avanti, quest’estate dal 25 giugno al 1° luglio si svolgerà la prima edizione del Diego Flaccadori Basketball Camp a Cesenatico: da dove nasce l’idea di dar vita ad un tuo camp? Cosa vuoi trasmettere ai ragazzi che parteciperanno? Qual è la cosa più importante da trasmettere ai ragazzi nella fascia 14-19 anni a tuo avviso?
Chiaramente è tutto legato al tipo di personalità che ho io, quindi all'interesse che provo nel creare rapporti e legami. Mi è sempre piaciuto tantissimo partecipare ai camp degli altri e, che fosse per una giornata o solo per 3-4 ore, poter stare coi ragazzi e passargli un messaggio. Questa è la motivazione che mi ha spinto a organizzare il mio camp personale in cui essere presente 24 ore al giorno, sette giorni su sette e aver modo di lasciare realmente qualcosa ai ragazzi. L’obiettivo è questo: trasmettere qualcosa ai giovani durante la settimana anche contando sulla presenza, giorno dopo giorno, di ospiti e giocatori di alto livello. Poi è vero, è estate, c'è il sole e ci si deve divertire ma se qualcuno viene a fare il mio camp, voglio che torni a casa dicendo “Sono davvero migliorato nel palleggio con la mano debole o nel palleggio-arresto-tiro”. La missione principale è quella di migliorare i ragazzi in maniera tale da, in futuro, poter allungare la durata del camp e aprirlo anche ai più piccoli oppure ai più grandi. La fascia d'età tra i 14 e i 19 anni è sempre stata la fascia d’età più importante perché è lì che un giocatore magari si perde un attimo, inizia ad avere altri interessi, comincia a conoscere il mondo e quindi è normale che possa prendere altre direzioni. Per questo motivo il messaggio che voglio trasmettere a un ragazzo di 14 anni è che o hai la passione al 100% per giocare pallacanestro oppure puoi e devi essere liberissimo di prendere un’altra strada. La passione è quella che ti permette di divertirti anche quando fai 0/20 al tiro o quando non riesci a fare tre palleggi di fila perché ti dai la palla sui piedi. La passione riesce a farti superare questi momenti e a fornirti quello spirito combattivo che ti porta, una volta finita una partita disastrosa, ad andare al palazzetto il giorno dopo per migliorare. Questo per me, anche se non si tratta di un qualcosa di semplice, è il concetto prioritario che deve essere trasmesso a un ragazzo di 14 anni: partire con la consapevolezza di essere appassionato di questo sport al 100%. Il resto viene in un secondo momento.
Ultima domanda bonus: è sempre Jamal Crawford la tua fonte principale o, negli anni e con le esperienze hai maturato, il bacino dei tuoi punti di riferimento si è ampliato?
Oggi, specialmente guardando l’NBA, è facile restare sbalorditi di fronte a ciò che certi campioni riescono a fare sul parquet, cose che a volte ti chiedi davvero, da atleta come siano possibili. Nonostante ciò, sinceramente, resto con Jamal Crawford. Ammaliato dal suo talento spropositato, ho sempre avuto l’idea che potesse fare qualsiasi cosa con la palla in mano, mi ha sempre trasmesso grande consapevolezza nei suoi mezzi. Ovvio, quando cresci non pensi più “Voglio fare come Jamal Crawford”, però non ho mai pensato ad altri giocatori come fonte di ispirazione: il suo mindset e il tipo di approccio sono sempre stati un riferimento per me.
Redazione - Golden Flamingo