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LBA Longform – John Petrucelli: “Impossibile descrivere a parole il trionfo in Coppa Italia. Il mio 'must' in cucina? Le penne alla vodka"

John Petrucelli posato

Jules Verne, oltre centocinquanta anni fa, vedeva pubblicare il suo “Giro del mondo in 80 giorni”, un'opera che sarebbe passata alla storia non solo della letteratura francese, ma di quella mondiale. Qui non parliamo di un giro del mondo, semmai della girandola di emozioni che ha sconvolto e sconvolgerà – in senso positivo – l'esistenza di John Petrucelli in circa 365 giorni. La prima istantanea, la più recente in ordine cronologico, arriva da Torino: la Germani Brescia alza il suo primo trofeo conquistando la Coppa Italia dopo aver vinto, nell'ordine, contro EA7 Emporio Armani Milano, Carpegna Prosciutto Pesaro e Virtus Segafredo Bologna. È una soddisfazione gigantesca, un momento magico anche per il nativo di Hicksville che è stato tra i protagonisti della cavalcata e per la sua prima coppa da mettere in bacheca.

“Una sensazione fantastica, perché è stato il mio primo trofeo da professionista. Di questo momento ho scherzato molto con Troy Caupain, perché avevamo vissuto già alcune esperienze come compagni di squadra e ci dicevamo che eravamo posseduti dalla maledizione della semifinale; siamo arrivati più volte a giocarci una semifinale, ma nemmeno una a giocarci il titolo; perciò, alzando la coppa siamo riusciti entrambi a spezzare questa maledizione. È stato bello principalmente perché era il primo trofeo anche per Brescia, poi per il fatto che siamo arrivati alla competizione come ottava testa di serie e mai mi sarei immaginato di essere parte di una “Cinderella Story”; la sensazione è stata incredibile, aver alzato una coppa e aver scritto un pezzo di storia di Brescia penso sia qualcosa di impossibile da descrivere a parole”.

Facciamo un fast forward di qualche mese e proiettiamoci verso l'estate. La stagione è terminata – quantomeno a livello di club – sullo sfondo le vacanze e i progetti per quella successiva; il caldo torrido spinge la mente ad evadere, ma fisicamente sei sempre lì e se la tua vita sta cambiando per sempre non ti puoi permettere distrazioni. La seconda istantanea arriva direttamente dal futuro: agosto sarà il mese in cui verrà alla luce sua figlia. Una prima volta per John, l'ennesima in questo anno solare; tuttavia, non una prima volta qualsiasi, non è paragonabile a nessuna di tutte le altre prime volte e sebbene tu sia preparato da più di nove mesi, rimani completamente incapace di reagire.

“È una novità eccitante, perché ci sono degli step da seguire e tutto un processo nuovo da attraversare; nonostante ciò, non sai minimamente come comportarti perché la bambina non è ancora arrivata, ma tutto ciò che fai ruota intorno a lei. La mia fidanzata fa le sue visite e tutto ciò che anticipa una gravidanza; io vedo le foto delle ecografie e sono davvero contento di questa nuova esperienza, ma ancora non riesco a capacitarmene e penso sarà così finché non terrò in braccio la neonata. In quel momento sarò tipo “Wow, ho avuto la mia prima figlia!”. Sono eccitato all'idea. All'inizio pensavo avremmo avuto un maschio, ho avuto come una sensazione che fosse così; successivamente abbiamo scoperto essere una femmina e io ero così pronto a crescere la futura star della NBA, prepararla a tutto quanto, mi ero già fissato il discorso da fargli quando sarebbe arrivato il momento (ride, ndr). Quando ho scoperto essere una femmina, ero ovviamente felice, ma ho dovuto cambiare fin da subito il mio approccio mentale. Non ho mai avuto sorelle, non sono cresciuto con ragazze al mio fianco; l'unica donna con cui sono cresciuto è stata mia madre, la quale aveva a che fare con me, i miei fratelli e mio padre. Devo imparare a vivere questa nuova avventura e ovviamente sono un misto tra l'eccitato e lo spaventato”.

Petrucelli Milano

Prima di alzare un trofeo con Brescia, prima di diventare il padre di una splendida bambina, John ha chiaramente vissuto le fasi che tutti gli esseri umani attraversano: è nato, è stato a sua volta un bambino, è diventato un'adolescente e ha vissuto tutta una serie di esperienze che lo hanno fatto crescere. Ecco, la parola crescita però è quasi stata un cruccio per il classe 1992, il quale sui campi da basket è stato più volte etichettato come “non abbastanza grosso” e “non abbastanza alto” per diventare un professionista. La terza istantanea della vita di Petrucelli è un flashback che non riguarda il suo ultimo anno, ma ci aiuta a capire dove è partita quella fame e quella voglia di prevalere che oggi vediamo sul parquet dal primo all'ultimo minuto.

“Al me stesso da bambino direi di non guardare il cammino delle altre persone, cosa stanno facendo e paragonarle a lui. Gli direi di tenere la testa bassa e continuare a lavorare sodo, perché ho fede in lui e credo che abbia la possibilità di arrivare ovunque voglia. Se guardo indietro e penso al mio cammino, posso dire essere stato un percorso davvero incredibile: sono partito proprio tanto dal basso, ne ho passate tante; posso dire che ci sono stati momenti in cui guardavo gli altri, quelli che erano migliori di me e li paragonavo a me stesso. Guardando gli altri stavo perdendo il focus su me stesso e questo non porta mai a benefici, perché ti porta a fare passi indietro ma per fortuna ho avuto la forza mentale di rialzarmi. Quando ho capito di dover guardare solo a me stesso e al mio cammino, lì la mia carriera ha avuto un punto di svolta. Penso questo sia sicuramente qualcosa che farei presente al giovane me stesso.

Capisco il non sentirsi mai abbastanza per qualcuno o in quello che si fa nella propria vita, specialmente quando sei appassionato e focalizzato sugli obiettivi da raggiungere; il fatto di voler vedere cosa riserva il futuro ti fa perdere un po' la visione del presente e magari ti fa anche perdere traccia dei passi avanti fatti nel corso del tempo. Io ho iniziato a giocare in Slovacchia dopo essere stato tagliato dalla lega di sviluppo della NBA. Quando sono arrivato in Slovacchia, non avevo una cucina nell'appartamento che condividevo con altre persone e al suo interno c'erano due stanze da letto e un bagno. Otto anni dopo mi guardo indietro e vedo quanto sono andato lontano, ma quanta strada io abbia ancora da fare per arrivare all'obiettivo principale. Tuttavia, penso che la cosa migliore sia essere grati di dove si è ora, di essere grati degli obiettivi raggiunti fino ad ora e poi certamente anche guardare a quello che si vuole ancora raggiungere”.

Un viaggio partito dalla città di Hicksville, quella in cui John Petrucelli è nato e cresciuto, ma il suo primo approccio con il professionismo è arrivato con il già citato debutto in Slovacchia. Successivamente il ritorno negli Stati Uniti tra il sogno di giocare in NBA e la realtà che lo ha visto distinguersi nella Lega di sviluppo. Il richiamo della pallacanestro europea lo ha portato a scoprire nuove terre e nuovi modi di approcciare alla disciplina; così sono arrivate le maglie dell'Hapoer Beer Sheva in Israele e del ratiopharm Ulm in Germania prima dell'approdo in Italia alla corte di coach Alessandro Magro.

“È stata dura perché sono cresciuto nello stesso modo sia come persona sia come giocatore fino all'età di 21, 22 anni quando giocavo in D-League, oggi ho 30 anni e sto giocando in Italia e in questi 8/9 anni che sono passati penso di essere cresciuto e di aver imparato tantissimo. Quando ho finito i miei anni al college in Division II mi allenavo con i Maine Red Claws, squadra di D-League affiliata con i Boston Celtics; il mio livello era diverso, non avevo mai giocato nemmeno contro giocatori di Division I. Avevo visto le partite, avevo guardato la March Madness, avevo visto questi atleti straordinari, ma non avevo mai giocato a quei livelli perciò nei miei primi tre anni di carriera mi chiedevo “sono abbastanza bravo per giocare in NBA o nella D-League o in una squadra ambiziosa oltreoceano?” Così in quei primi anni testavo me stesso e continuavo a chiedermi se ero alla stessa altezza di questi ragazzi che giocavano in TV ogni sera, sapevano fare di tutto sul parquet e tutto il mondo li conosceva. Qualche anno dopo quando ho giocato in D-League mi sono detto “ok, sei bravo abbastanza per essere qui ora”, ma io puntavo a diventare un giocatore di NBA e per questo provavo a giocare molto più con quello stile, studiavo ogni movimento da fare, cercavo di impressionare gli scout. Qualche anno dopo sono in Israele, poi in Germania, in Italia e ho dovuto completamente cambiare la mia concezione di pallacanestro e avvicinarmi allo stile europeo che è completamente diverso a livello di velocità, di spaziature. Penso che in ogni step della mia carriera io abbia dovuto imparare qualcosa; è stato un viaggio stupendo e penso anche di essere cresciuto grazie a questo viaggio, sia come persona sia come giocatore rispetto a quando avevo 21 o 22 anni”.

La fama di difensore lo precede e qui in Italia il suo approccio è sicuramente apprezzato, così come lo è stato anche nelle precedenti esperienze europee. Nei cambiamenti che ha dovuto apportare alla sua pallacanestro, l'attitudine a difendere non è mai mutata, anzi a quanto pare ha sempre fatto parte del suo DNA e crescendo – da giocatore professionista – ha dovuto renderla il suo punto di forza principale.

“Ho sempre avuto questa attitudine di difensore aggressivo. Mio padre raccontava sempre questa storia di quando avevo 10/11 anni e lui allenava la squadra in cui giocavo. La lega in cui partecipava la nostra squadra aveva dovuto cambiare le regole di gioco, in pratica non potevamo più giocare a tutto campo, perché le altre squadre per colpa mia e di mio fratello non riuscivano mai ad attraversare la metà campo (ride, ndr). Io e lui rubavamo sempre la palla ai nostri avversari appena cominciavano l'azione, così le nuove regole imponevano il gioco su tre quarti di campo; dunque già a 10/11 anni ero impostato verso questo tipo di mentalità difensiva. Ho sviluppato questo aspetto nel mio anno in Israele, per questo devo ringraziare il coach dell'Hapoel Beer Sheva, un allenatore davvero duro con cui lavorare ma che aveva visto in me tutto quel potenziale difensivo che io non sapevo di avere. Lui voleva che io dessi il 150% su entrambe le metà campo, non voleva vedermi solo in attacco o solo in difesa, pretendeva il massimo sforzo sui due lati del campo; fu dannatamente difficile, ma penso che quel tipo di lavoro mi abbia portato ad alzare l'asticella e giocare ad un altro livello. A quel tempo pensavo di non piacergli, pensavo fosse troppo severo con me, pensavo mi volesse quasi tenere fuori squadra, ma guardandomi indietro mi rendo conto che stava solamente cercando di tirare fuori tutto il mio potenziale e farmi rendere conto cosa fossi capace di fare. Grazie a questo duro insegnamento sono riuscito a portare la mia pallacanestro in Germania, in Italia e penso di dovergli davvero dare credito, non l'ho apprezzato abbastanza un tempo, ma ora questa attitudine è ciò che mi rende speciale”.

Presto un'altra sfida si paleserà sul cammino del numero 11 in forza alla Germani Brescia. Non sarà una scelta di vita o un momento da dover affrontare in solitaria, ma una di quelle esperienze da vivere in gruppo e che arricchirà una carriera già di per sé colma di soddisfazioni e passi avanti. Gli ottavi di finale di EuroCup sono alle porte, l'istantanea non è ancora stata scattata; tuttavia, John pensa ci saranno sorprese anche in questa competizione, così come ci sono state in Coppa Italia o così come ci sono in tutte quelle manifestazioni in cui la partita secca non ammette repliche.

“Penso possa accadere proprio di tutto. Il motivo per cui penso che il format dell'EuroCup sia davvero figo è il fatto di giocare solo quattro partite in totale dagli ottavi di finale alla finale, così come è stato per le tre partite in Coppa Italia. Tutto può succedere ogni sera, capita davvero in tutte le leghe del mondo e in tutte le competizioni: giochi una sola partita e lo fai con la squadra migliore, con i tuoi uomini migliori; unico scontro, unica partita e quella sera potrebbe essere già finito tutto perché non ci sono serie al meglio delle cinque o delle sette partite. Qualsiasi cosa accade quella sera, accade senza diritto di replica. Un format di questo genere penso sia bello proprio per il tipo di atmosfera che crea, il tipo di storie che può scrivere. Alla fine, si tratta di pallacanestro, tutti sappiamo giocare a pallacanestro; può esserci il fattore campo da valutare, il vantaggio di giocare in casa o lo svantaggio di giocare in trasferta, ma alla fine tutto può accadere e noi non vediamo l'ora di affrontare questo tipo di sfida. La pressione sarà sicuramente più sulle spalle delle squadre con una testa di serie più alta, proprio perché giocando in casa non vorranno deludere le aspettative dei tifosi. In queste partite da 50/50, le “statistiche” premiano solitamente la squadra con il vantaggio del campo, ma noi non ci faremo intimidire dai numeri o dai tifosi avversari, scenderemo in campo e giocheremo la nostra miglior partita”.

La prossima è un'istantanea divertente, gioca sulle somiglianze e mette a confronto John Petrucelli con la guardia dei Golden State Warriors – quattro volte campione NBA – Klay Thompson. Il motivo? I due sembrano gemelli separati alla nascita. Metteteci l'etica del lavoro, la pressione difensiva e uniteli ad uno straordinario 55.4% da tre punti (Klay Thompson sta tirando con il 40.8% in stagione, 4.3 triple su 10.5 tentativi) segnando 2.4 triple a partita su 4.3 tentativi e avrete ben più di un indizio per provare questa incredibile somiglianza tra i due.

“Tutti quanti mi dicono che assomiglio a Klay Thompson. Quando torno a casa mi chiedono “Ti ha mai detto nessuno che...” e io completo la frase con “...assomigli a Klay Thompson?” e loro dicono “Sì, esatto!”. È folle, ma divertente, lo ammetto. Per quanto riguarda un tipo di aspetto del gioco o una caratteristica fisica che vorrei rubare a qualcuno dei giocatori, mi pongo sempre un confronto su cosa preferirei avere tra l'atleticismo di LeBron James e il tiro di Stephen Curry. La mia risposta è il tiro di Stephen Curry ogni volta. La capacità che ha nel tirare e la facilità con cui trova il canestro per me sono irreali. Tornando al discorso sulla mia somiglianza con Klay, c'è un aneddoto divertente dietro che vorrei raccontare: il nome che uso quando gioco alla XBOX è 'Basic_Cable_Klay” ovverosia, Klay Thompson è il giocatore da vedere sulla TV via cavo, io sono la sua versione disponibile sulla TV pubblica (ride, ndr). Non ho mai avuto né modo di giocare contro di lui né di incontrarlo, ma quando giocavo in D-League ho affrontato suo fratello Mychal. A volte chi mi chiedo se qualcuno gli ha mai fatto vedere una mia foto, non so tipo Nico Mannion o chi altri, e gli ha detto “Ehi Klay, lo sai che questo ragazzo ti assomiglia davvero tanto?”. Ne dubito fortemente sia chiaro, ma penso sarebbe ad ogni modo molto divertente (ride, ndr)”.

Una figlia in arrivo cambia ogni progetto fatto fino ad ora nella propria vita. Si aggiunge una nuova persona al nucleo familiare ed immediatamente l'idea e di farla nascere e crescere in un locus amenus che le porti serenità. I genitori di John vivono ancora nella casa in cui lui stesso è cresciuto, dove non bastano le dita di mani e piedi per contare tutti i ricordi che sono stati vissuti al suo interno. La vita del nativo di Hicksville ha una casa in New Jersey con la fidanzata; i due ancora non hanno quello che si possa considerare il luogo in cui scrivere una nuova storia, il posto dove crescere i propri figli, ma presto arriverà insieme a tutte le novità che porta una nascita. La sua casa oggi è l'Italia, non solo grazie alla Germani Brescia ma anche alle sue radici. Queste radici lo hanno portato a vestire la canotta azzurra l'estate scorsa, perché così è iniziato il viaggio di John Petrucelli. L'ultima istantanea – la prima in ordine cronologico – è la chiamata di coach Gianmarco Pozzecco per rappresentare la nostra nazionale; l'emozione era tale da non avere la minima idea di cosa stesse accadendo in quel preciso istante.

“È stato davvero strano, perché è accaduto molto velocemente. Ci è voluto circa un anno per avere la doppia cittadinanza, tra i vari documenti, la burocrazia e tutto ciò che serve per ottenerla. Lo scorso anno ero completamente focalizzato su questo e non sapevo se il mio passaporto sarebbe arrivato in tempo per giocare le partite di qualificazioni ai mondiali. Perciò dieci giorni prima che mi arrivassero i documenti, mi arriva la chiamata dove mi dicono che avrei ottenuto a breve tutto quanto, poi che mi sarei dovuto recare a Brescia e infine raggiungere i compagni al raduno con la nazionale. Ricordo che ero seduto in cucina quando mi ha chiamato coach Pozzecco dicendomi “Ti arriveranno i documenti questo giorno, dovrai recarti in questo posto a questa ora per allenarti e giocare con la nazionale”. Quando è terminata la chiamata ho guardato la mia fidanzata e le ho detto “Avrò la possibilità di giocare per l'Italia!”. Ero così entusiasta, così eccitato, ma è stato davvero tutto così rapido. Ero appena tornato negli Stati Uniti da pochi giorni quando ho ricevuto la chiamata, perciò circa sette/otto giorni dopo ho ripreso un altro aereo per raggiungere la squadra. All'inizio pensavo a quanto fosse una figata allenarsi con gli altri, vestire questa divisa; successivamente quando ho capito meglio dove mi trovavo, ho esclamato “Sono qui, sto vestendo la maglia della nazionale italiana!”. Ricordo quando eravamo a Trieste e ci preparavamo per affrontare la Slovenia di Luka Doncic. Ci sono da sempre due giocatori contro cui volevo giocare e che volevo marcare per testare realmente le mie qualità difensive: uno gioca in NBA ed è Luka Doncic, l'altro gioca in Eurolega ed è Vasilije Micic. In quel momento stavo per affrontare proprio uno di loro ed era pazzesco. Anche se quella fu solo un'amichevole, avevo dentro quella sensazione di farfalle nello stomaco per l'importanza di vestire una maglia così importante. In Olanda però fu tutt'altra cosa, poiché dal momento in cui ho messo piede sul parquet sono diventato ufficialmente un cittadino italiano con la possibilità di rappresentare la nazionale in una partita di qualificazione ai mondiali. Davvero fu una sensazione che non saprei proprio esprimere a parole. Rappresentare una nazione di fronte ad oltre 10,000 persone è indescrivibile”.

Un ragazzo che si definisce semplice, senza troppi fronzoli per la testa. Un ragazzo che ama giocare a basket, mangiare, dormire e farsi qualche partita alla XBOX nel tempo libero. Tuttavia, nella ricetta delle 'penne alla vodka', un 'must' della nonna materna, c'è tutto ciò che serve per descrivere il suo carattere. Effettivamente molto facile da preparare, ma che comprende ingredienti ottimi da amalgamare insieme per rendere il tutto più ricco (panna e pancetta), aggiungendo anche un tocco di imprevedibilità al suo interno (vodka) e quella punta di 'spicy' (peperoncino) che lo trasforma in un primo piatto perfetto per descrivere l'uomo e il giocatore dietro a John Petrucelli.

 

Redazione: Overtime - Storie A Spicchi

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