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Nel per molti versi giustificabile fuggi fuggi degli stranieri della nostra Serie A di basket ci sono delle eccezioni, giocatori che hanno preferito rimanere in Italia piuttosto che tornare in patria. Tra questi ce n'è uno che conosce bene il nostro paese e il nostro basket: il centro di Reggio Emilia Josh Owens. Il nativo di Portsmouth – quella del New Hampshire – era già passato da Trento e Venezia prima di accettare l'offerta estiva della Grissin Bon.
Owens, come sta? Domanda non banale di questi tempi
“Nel complesso bene, sono al sicuro e in salute: questo per me è più che sufficiente. Vale anche per i miei compagni che stanno tutti bene e che sento quotidianamente. Con tutto quello che sta accadendo nel mondo c'è poco altro che vorrei chiedere”.
Come sta vivendo questi giorni?
“Il mio obiettivo principale è arrivare alla fine di questo periodo senza aver perso tempo. Non si tratta solo di lavorare su progetti personali ed essere produttivi, ma anche prendersi il giusto tempo per rilassarsi. Non sto facendo qualcosa di nuovo, solo più cose che comunque farei nel mio tempo libero durante la stagione. E questo include anche la lettura: ora sto leggendo un libro sulla Grande Depressione”.
Lei ha scelto di non tornare negli States. Come mai?
“Ho basato la mia decisione su tre fattori: sicurezza immediata, logistica e la prospettiva della ripresa della stagione. Fuggire dal virus non è mai stata un'ipotesi, anche perché mi era chiaro sin da subito che sarebbe stato presente ovunque e presto anche negli USA. Quando ho deciso l'Italia aveva già messo in atto misure ad hoc e la gente stava iniziando a prendere sul serio la situazione. Qui in Europa ci è voluto del tempo per capire la gravità del Covid-19 e sapevo che negli States non sarebbe stato diverso. Mi sentivo più sicuro qui, in un Paese che aveva già resistito allo shock iniziale. E poi, visto che non avrei avuto la possibilità di affittare un appartamento a New York come faccio sempre durante la offseason, tornare avrebbe significato passare la quarantena con la mia famiglia con tutti i rischi del caso. Infine non volevo affrontare lo stress e le difficoltà per organizzare il viaggio di ritorno nel caso di ripartenza della A”.
Ripartenza che però non ci sarà. Come l'ha presa?
“Ci sono due modi per guardare lo stop dell'attività. Come atleta, penso che sia naturale essere un po' egoisti e sentirsi delusi; il campionato è ovviamente una parte importante delle nostre vite e lasciarlo irrisolto fa male. Ma prima di essere atleti siamo esseri umani che si preoccupano del benessere reciproco. In questo momento la priorità è mantenersi al sicuro e alleviare lo stress delle tante persone che si stanno sacrificando negli ospedali e nelle attività essenziali. Questo è ciò che conta adesso, non lo sport”.
Che idea si è fatto della politica di Trump per contrastare la pandemia?
“Personalmente penso che la sua azione ripetutamente lenta e limitata, il disprezzo per il contributo delle organizzazioni sanitarie e scientifiche e la continua enfasi sul riavvio dell'economia sia irresponsabile, pericolosa e controproducente”.
Parliamo un po' di basket. Come giudica la sua stagione a Reggio?
“È difficile da dire visto che si tratta di una stagione incompiuta. Abbiamo impiegato parecchio per avere il roster interamente sano e per trovare il nostro ritmo. Sono convinto che stessimo iniziando a trovare la quadratura del cerchio e che avremmo colto molte opportunità nei mesi finali”.
Per quanto possibile in questo contesto, ha già pensato al suo futuro da giocatore?
“Il basket mi manca e non vedo l'ora di giocare di nuovo, ma in questo momento non è nei miei pensieri. Ribadisco: oggi penso soprattutto alla nostra salute. Non credo che nessuno possa sapere molto su cosa aspettarsi dal futuro, soprattutto per quanto riguarda lo sport: c'è davvero tanta incertezza. Nel frattempo mi tengo informato e mi alleno il più possibile, così da essere preparato quando dovrò pensare di nuovo alla mia carriera”.