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Valerio Bianchini racconta Edi Rama, il premier albanese amante del basket e in aiuto all'Italia nella emergenza: 'Ha conservato intatto il fascino dell'artista'

Valerio Bianchini racconta Edi Rama, il premier albanese amante del basket e in aiuto all'Italia nella emergenza: 'Ha conservato intatto il fascino dell'artista'

Certe cose te le stampa dentro solo lo sport. Gli esempi, innanzitutto: "Sul virus in Europa fanno tutti catenaccio, invece bisogna fare come il Milan di Sacchi: niente stelle che fanno a modo loro ma tutti a difendere e attaccare". Poi, la tattica: raddoppiare la marcatura dove l'avversario è forte per fiaccarlo e ripartire. È quello che hafatto Edi Rama: anche l'Albania fronteggia il coronavirus, ma lui ha mandato comunque medici einfermieri ad aiutare l'Italia nel momento clou della partita. Rama è diverse cose: premier albanese, appunto, ma anche artista, scrittore, ex giocatore di basket della Dinamo Shkodra, un gigante di 2.02 che ha messo un canestro sulla porta dell'ufficio. Ma soprattutto, "è uno di noi". Lo dice Valerio Bianchini, decano dei coach italiani, che lo conosce molto bene e che nell'ascoltare le sue parole ha rivisto quel ragazzo che incontrò 32 anni fa all'aeroporto di Tirana.
Coach, torniamo al 1988. Lei allenava la Scavolini Pesaro che l'anno prima aveva vinto lo scudetto, e al primo turno di Coppa dei Campioni le tocca il Partizani Tirana.
"Ci ero andato spesso, e ogni volta trovavo ad aspettarci gli angeli custodi che mandavano i servizi segreti, personaggi belli arcigni. Stavolta invece no. Arrivò questo ragazzo alto, educatissimo, che parlava un italiano perfetto. Mi raccontò che studiava arte e giocava a basket, sapeva tutto della Serie A. Ci mettemmo a parlare, di lui mi stupirono subito la preparazione culturale e la sensibilità unità a una curiosità incredibile su tutto. Erano i tempi della dittatura in Albania, clima ostile, bunker piantati ovunque, Hoxha li aveva convinti che il paese viveva la minaccia di una nuova invasione italiana…".
Non avevate un po' di paura? "Gli americani sì. Darren Daye venne da me e mi chiese: "Coach, ma è vero che lì sono così comunisti?". Io confermai. Anzi, visto che con questa loro paura scherzavamo parecchio, esagerai. Gli dissi che in Albania erano così comunisti che non avevano rapporti né con la Russia né con la Cina perché li ritenevano paesi troppo di destra ma solo con la Cambogia dei Khmer rossi. Glielo dissi per ridere elui quasi svenne, per loro Cambogia vuol dire Vietnam, il dramma Usa per eccellenza. Poi partimmo da Falconara, e lui: "Coach, quante ore di volo ci sono?". "Mezz'ora". "Ma come, la Cambogia è così vicina all'Italia?". Tipico degli americani, sanno poco del mondo fuori dal loro paese".
E come andò?
"Giocammo, vincemmo e ce ne andammo. All'aeroporto ci riaccompagnò ancora Rama, negli occhi aveva una voglia pazza diripartire con noi. Mi regalo un suo quadro, un ritratto di una ragazza in costume tipico albanese. Ci abbracciammo e ci lasciammo con questa amicizia, ma erano tempi senza internet e ci perdemmo di vista. Poi anni dopo mi chiamò Marzorati: "Coach, sa che la cerca Edi Rama?". Era diventato il sindaco di Tirana, così tornammo in contatto".
Cos'era successo nel frattempo?
"Lui, ragazzo di buona famiglia, andò a studiare a Parigi e da lì faceva parte della resistenza albanese, scriveva sulle fanzine anti regime. La cosa stava per costargli la vita: un giorno tornò a trovare i suoi e venne assalito da una banda di picchiatori che lo lasciò quasi morto. Il medico che lo curò gli disse: "Ti sei salvato perché hai un corpo da atleta". Così tornò a Parigi, e rientrò a Tirana solo per la morte del padre. Ma nel frattempo erano crollati il muro di Berlino e il regime di Hohxa, e a lui chiesero di fare il ministro della cultura. Così iniziò la sua carriera".
Tornaste in contatto e lei andò a trovarlo.
"Mi invitò con mia moglie a Tirana, 4 giorni bellissimi. Prima era veramente brutta, il fiume Lana era uno scarico, non c'era verde. Lui ha creato un bel lungofiume, dei parchi per la gente. Epoi ha avuto un'idea geniale: ha preso quelle case tutte uguali, tristi, e le ha fatte dipingere di tanti colori diversi. Un miracolo, che gli fece vincere anche il premio come miglior sindaco al mondo. Mi ha fatto vedere la costa albanese, selvaggia, di una bellezza mozzafiato. Mi parlava di basket, e delle sue difficoltà del trasformarsi da artista in politico. Ed è quello che di lui mi piace oggi". 3Cioè? "Si vede che quell'incanto da artista che ho visto in giovinezza l'ha mantenuto intatto. Il suo è impegno civile, la politica e il ruolo dei politici lui li concepisce davvero così. Gli ho sentito dire parole straordinarie, di uno spessore notevole, senza accenno di propaganda: venivano dal cuore".


Giulio Di Feo


 


 


 

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