Marco Bonamico avrebbe potuto essere il primo italiano a ricevere un borsa di studio e giocare in un grande college americano, la mitica Duke University. Ma negli anni Settanta i regolamenti erano preistorici: la Federazione italiana lo minacciò di non considerarlo più italiano nel caso avesse giocato negli Stati Uniti. Bonamico, il Marine come lo chiamavamo allora, si è tolto comunque grandi soddisfazioni in campo, entrando nella storia del basket con la Nazionale campione d’Europa e vicecampione olimpica a Mosca. Ma quando ha smesso, l’idea che anche il dirigente Bonamico dovesse essere moderno e combattivo come il giocatore, non l’ha mai abbandonato come ha dimostrato la sua presidenza della Legadue. Adesso si dedica, tra le altre cose, a trovare opportunità di gioco e studio nelle università americane per i ragazzi italiani. Il cerchio, dopo più di 40 anni dal no che fu costretto a dire a Duke, si è chiuso. “Ai giovani che si affacciano alla carriera di giocatore professionista consiglio semplicemente di aprire gli occhi e guardare oltre – dice Bonamico -. Nello sport le frontiere non esistono, né umane, né fisiche. Oggi ci sono molte più opportunità per trovare la propria strada per crescere e diventare giocatori e uomini veri senza limitarsi a guardare solo nell’orticello attorno a casa. Non che non vada bene crescere e maturare in Italia, anzi, ma è necessario dare un’occhiata e fare delle esperienze anche al di fuori”.