Certe notti non puoi neanche immaginarle, non puoi neanche programmarle. Sono notti speciali. Dino Meneghin arrivò a Milano nell’estate del 1981 quando si sospettava fosse un campione a fine carriera, con tanti acciacchi e un grande passato. Era l’eroe di Mosca 1980, dell’incredibile epopea varesina. Scelse Milano perché voleva finire vincendo. Firmò un contratto di due anni e ne giocò altri 14. La dinastia di Varese la replicò all’Olimpia. Arrivarono altre tre finali di Coppa dei Campioni quindi 13 in tutto e due vittorie quindi sette in totale. Non parliamo poi di scudetti perché ne ha vinti 12. Semplicemente, Dino Meneghin è stato il più grande di tutti. “Il suo talento era indubbio, ma ci ha messo sacrificio, passione, lavoro, ed era l’unico che mi chiedeva di andare a lavorare anche ad orari insoliti se non si sentiva pronto”, ha detto proprio ieri Claudio Trachelio, preparatore atletico dell’Olimpia anni ‘80.
E poi ci sono i compagni. Sono venuti in massa a Milano per omaggiarlo da ogni angolo d’Italia, che fossero quelli che hanno condiviso con lui le vittorie di Milano, Roberto Premier da Gorizia per dirne uno, oppure fossero di Varese o i “ragazzini” di Trieste come De Pol, Fucka e Pilutti. O i compagni della Nazionale. Caglieris, Brunamonti e Marzorati ovvero il playmaker a tre teste che vinse l’oro a Nantes. Il bomber Antonello Riva. Meo Sacchetti che cancellò Sergei Belov nella più clamorosa impresa azzurra di sempre, la vittoria sull’Unione Sovietica a Mosca 1980. C’era Fabrizio Della Fiori. Chi poteva c’era. Aldo Ossola e Marino Zanatta, ad esempio. Chi non ha potuto esserci ha chiamato. Meneghin è stato il più grande e ha sempre avuto compagni pronti a seguirlo. L’hanno fatto anche ieri. È stato indimenticabile.