La Virtus Roma saluta il girone di andata rispedendo al mittente le velleità di Avellino con una partita (91-75) in cui l’anima della squadra, ancora una volta, si annida nel collettivo, perché tutti portano acqua alla causa comune (6 uomini in doppia cifra) così come recita il verbo predicato da Piero Bucchi. Si gira l’angolo di metà campionato e si definisce il primo obiettivo mettendo piede nella finale ad otto di Coppa Italia che si aprirà con la sfida a Roseto. C’era attesa ieri per la presa di contatto con compagni ed ambiente di Anthony Parker, l’ultima tessera del mosaico messo in opera da Roberto Brunamonti. A Roma solo da 48 ore, era normale che lo statunitense giocasse poco (14 minuti), ma quel poco è bastato per accendere la miccia dell’entusiasmo: dopo un primo momento in cui è apparso spaesato, ha fatto intuire di portare con sé un bagaglio tecnico di immenso valore. Una palla recuperata galleggiando in aria, una schiacciata a pazza velocità tenendo in cielo il pallone, 6 punti e l’embrione di ciò che potrebbe essere in un prossimo futuro. Sarà un caso, ma la partita è stata spaccata in due nell’ultimo periodo quando Myers ha iniziato a fare il Myers (12 punti in 7 minuti) dopo una parentesi di apatia totale e Parker ha deciso di mettersi nella sua scia: dei 22 punti segnati dalla Virtus negli ultimi 10’, 18 portano la firma della splendida coppia che fa sognare Roma.
Fin lì la partita era stata di difficile lettura, con Roma guidata dall’inusuale saggezza di Jenkins (24 punti e tanto ordine), dalla migliore prova di Zanelli, punti e difesa, dalla continuità di Righetti e da qualche affanno al rimbalzo, complice la serata alterna di Santiago. Con Myers seduto in panchina per non rischiare il ginocchio impertinente e Parker al suo fianco per respirare la novità, la Virtus è sempre stata avanti, senza però mai dare l’impressione di riuscire a prendere il largo, vittima dell’alternanza dei campani nello sfoderare giganti grezzi ma ingombranti (Kuhel e Koutsopoulos), o quintetti bassi ed aggressivi con Grgurevic grande maestro nel tempismo al rimbalzo offensivo. Si è andati avanti così per tre quarti di gara: Avellino ad inseguire e l’eccezionale collettivo di Roma che non riusciva a darle il colpo di grazia. Poi l’accelerazione istantanea di Myers e le tre magie di Parker hanno chiuso i giochi.
Fine dell’andata e si scopre che erano anni che Roma non aveva tanta qualità a propria disposizione. Bucchi dribbla con saggezza la novità: «Quando ci sono tanti giocatori il problema è dei giocatori, quando ce ne sono pochi è dell’allenatore». Chiusura di Jenkins, il migliore in campo: «Un giudizio su Parker? Con lui siamo da scudetto». Senza giri di parole si gira la metà del campionato. Ed il bello sembra dover ancora arrivare.
Valerio Vecchiarelli
Fin lì la partita era stata di difficile lettura, con Roma guidata dall’inusuale saggezza di Jenkins (24 punti e tanto ordine), dalla migliore prova di Zanelli, punti e difesa, dalla continuità di Righetti e da qualche affanno al rimbalzo, complice la serata alterna di Santiago. Con Myers seduto in panchina per non rischiare il ginocchio impertinente e Parker al suo fianco per respirare la novità, la Virtus è sempre stata avanti, senza però mai dare l’impressione di riuscire a prendere il largo, vittima dell’alternanza dei campani nello sfoderare giganti grezzi ma ingombranti (Kuhel e Koutsopoulos), o quintetti bassi ed aggressivi con Grgurevic grande maestro nel tempismo al rimbalzo offensivo. Si è andati avanti così per tre quarti di gara: Avellino ad inseguire e l’eccezionale collettivo di Roma che non riusciva a darle il colpo di grazia. Poi l’accelerazione istantanea di Myers e le tre magie di Parker hanno chiuso i giochi.
Fine dell’andata e si scopre che erano anni che Roma non aveva tanta qualità a propria disposizione. Bucchi dribbla con saggezza la novità: «Quando ci sono tanti giocatori il problema è dei giocatori, quando ce ne sono pochi è dell’allenatore». Chiusura di Jenkins, il migliore in campo: «Un giudizio su Parker? Con lui siamo da scudetto». Senza giri di parole si gira la metà del campionato. Ed il bello sembra dover ancora arrivare.
Valerio Vecchiarelli