Per il presidente lui non vestirà mai più la maglia della Virtus. Lui, Sani Becirovic, sostiene il contrario. E' rientrato in Slovenia, il bimbo prodigio, ma giovedì sarà nuovamente nella Città dei Canestri, per proseguire la rieducazione. Ecco, in pillole, il pensiero di Sani.
SENSAZIONI BIANCONERE. «Sono ancora un giocatore della Virtus, c'è un contratto che deve essere rispetto. Ma ora, soprattutto, voglio restare concentrato su altre questioni, perché il mio obiettivo è tornare a giocare. E sono sicuro di riuscirci. La rieducazione sta andando bene, mi seguono il dottor Lelli e il professor Grandi. Ci vuole pazienza, e io ne ho tanta. Continuo a pensare a un mio futuro in bianconero.
Magari con una dirigenza diversa».
LA SOLITUDINE. «Con il presidente ho parlato solo una volta, a Porretta, dopo l'infortunio. Poi non ci siamo più sentiti. Mi disse che lui e la squadra mi avrebbero aspettato, invece non ho più sentito nulla. Nessun dirigente si è più fatto vivo, come se avessero perso il mio numero di telefono o smarrito l'indirizzo. Ma c'è un'altra cosa che mi ha fatto male: quando ho visto il mio numero sulle spalle di un altro giocatore. Li ho capito che sarebbe stata dura. Si sono fatti vivi i miei compagni, Tanjevic, ma ovviamente non è la stessa cosa».
LA RABBIA DI SANI. «Pentito del lodo? Assolutamente no. Ero veramente arrabbiato, l'avrei fatto anche prima. Il mio agente mi suggeriva di mantenere la calma, perché, mi diceva, forse c'era qualche problema da parte della società. Abbiamo aspettato fin troppo: mi sono proprio stancato. Parlare con il presidente? Assolutamente no. Per qualsiasi questione, ora, deve discutere con Maurizio, il mio procuratore».
IL DOPPIO INTERVENTO. «Avrei potuto operarmi a gennaio? Forse. Credo che sia normale, però, quando ti prospettano due interventi, scegliere quello meno doloroso. La speranza era quella che servisse per rimettermi in piedi al più presto. Non è successo. Ma per rientrare più in fretta ho accettato l'idea del doppio intervento, restando immobile, a letto, per sette settimane. E sognando, ogni giorno, il rientro immediato. E' vero, il presidente suggeriva l'operazione più complessa già da gennaio. Ma c'erano mio padre, c'era il mio agente, che possono testimoniare che lui, comunque, disse che avrebbe accettato anche l'intervento più soft. Poi è scomparso di scena. Non ce l'ho con lui, non voglio metterlo in difficoltà. Ma c'è un regolare contratto e voglio che siano tutelati i miei diritti».
Alessandro Gallo
SENSAZIONI BIANCONERE. «Sono ancora un giocatore della Virtus, c'è un contratto che deve essere rispetto. Ma ora, soprattutto, voglio restare concentrato su altre questioni, perché il mio obiettivo è tornare a giocare. E sono sicuro di riuscirci. La rieducazione sta andando bene, mi seguono il dottor Lelli e il professor Grandi. Ci vuole pazienza, e io ne ho tanta. Continuo a pensare a un mio futuro in bianconero.
Magari con una dirigenza diversa».
LA SOLITUDINE. «Con il presidente ho parlato solo una volta, a Porretta, dopo l'infortunio. Poi non ci siamo più sentiti. Mi disse che lui e la squadra mi avrebbero aspettato, invece non ho più sentito nulla. Nessun dirigente si è più fatto vivo, come se avessero perso il mio numero di telefono o smarrito l'indirizzo. Ma c'è un'altra cosa che mi ha fatto male: quando ho visto il mio numero sulle spalle di un altro giocatore. Li ho capito che sarebbe stata dura. Si sono fatti vivi i miei compagni, Tanjevic, ma ovviamente non è la stessa cosa».
LA RABBIA DI SANI. «Pentito del lodo? Assolutamente no. Ero veramente arrabbiato, l'avrei fatto anche prima. Il mio agente mi suggeriva di mantenere la calma, perché, mi diceva, forse c'era qualche problema da parte della società. Abbiamo aspettato fin troppo: mi sono proprio stancato. Parlare con il presidente? Assolutamente no. Per qualsiasi questione, ora, deve discutere con Maurizio, il mio procuratore».
IL DOPPIO INTERVENTO. «Avrei potuto operarmi a gennaio? Forse. Credo che sia normale, però, quando ti prospettano due interventi, scegliere quello meno doloroso. La speranza era quella che servisse per rimettermi in piedi al più presto. Non è successo. Ma per rientrare più in fretta ho accettato l'idea del doppio intervento, restando immobile, a letto, per sette settimane. E sognando, ogni giorno, il rientro immediato. E' vero, il presidente suggeriva l'operazione più complessa già da gennaio. Ma c'erano mio padre, c'era il mio agente, che possono testimoniare che lui, comunque, disse che avrebbe accettato anche l'intervento più soft. Poi è scomparso di scena. Non ce l'ho con lui, non voglio metterlo in difficoltà. Ma c'è un regolare contratto e voglio che siano tutelati i miei diritti».
Alessandro Gallo
Fonte: Il Resto del Carlino