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Chi sale e chi scende nella settimana NBA

Chi sale e chi scende nella settimana NBA

Con l’NBA alle prese con l’ondata di contagi causati dalla nuova variante Omicron e corsa immediatamente ai ripari intensificando test e tracciamento per non compromettere il prosieguo della stagione, scopriamo le squadre che salgono e scendono dopo l’ultima settimana di partite.

Chi sale: Brooklyn Nets e Phoenix Suns

Brooklyn Nets: I Brooklyn Nets salgono, o forse sarebbe il caso di dire: Kevin Durant sale. Il numero 7, forte del primo posto dei suoi nella Eastern Conference, avanza a grandi falcate verso il premio di MVP, insinuando più di un legittimo dubbio tra il candidato “a furor di popolo” Steph Curry e quello che le statistiche vedono avanti, quel Nikola Jokic che lotta per tenere aggrappati i Nuggets al treno Playoffs a suon di prestazioni storiche. Playoffs che non sono certo a rischio per i Nets, grazie al 21-8 di record e alle 4 vittorie consecutive conquistate nell’ultima settimana nonostante i tanti giocatori entrati nel protocollo covid e quelli attualmente ai box per problemi fisici. Nei successi ottenuti contro Pistons, Raptors e 76ers la squadra di Nash ha infatti dovuto rinunciare a James Harden in primis ma anche a tanti gregari del roster, passando da una rotazione comunque ridotta di 10 soli giocatori agli 8 della partita in Canada e ai 9 dell’ultimo match contro Philadelphia, tra cui 4 rookie e la firma last-minute (in forza della hardship exception concessa alle squadre colpite da focolai covid) di Langston Galloway con un contratto di 10 giorni. Un’emergenza che non ha impedito però a Kevin Durant di rallentare la sua imperiosa marcia da miglior realizzatore NBA (attualmente viaggia a 29.7 punti di media) a cui sta affiancando il massimo di assist in carriera (5.9) e su percentuali irreali di efficienza, con il 52% dal campo e quasi il 63% di true shooting. Il tutto giocando una quantità di minuti non certo preventivabili a inizio anno, ma diventati necessari alla luce delle tante defezioni. Defezioni che hanno consentito a Blake Griffin di ritornare in quintetto, con due partite in doppia-cifra nelle ultime due vittorie, e più in generale ai Nets di scoprire giocatori finora poco usati come Cameron Thomas o Kessler Edwards. Col rientro di tutti gli attuali membri del roster finiti nel protocollo covid e la decisione delle ultime ore di reintegrare in squadra Kyrie Irving, per le sole partite in trasferta non essendo possibile per i non vaccinati partecipare ad eventi sportivi nello Stato di New York, Nash avrà a disposizione una squadra molto più profonda di quanto non fosse prima.

Phoenix Suns: Miglior record NBA in coabitazione con i Golden State Warriors (23-5), otto vittorie nelle ultime dieci partite, e solita grande certezza: Chris Paul, l’unico giocatore attualmente in NBA a viaggiare sopra i 10 assist di media. Paul ha trasformato questa squadra in una sinfonia offensiva e soprattutto in una macchina da finali di partita, e della Phoenix che due anni fa decideva di acquisire CP3 dopo la stagione positiva ai Thunder per aggiungere ad un roster giovane e talentuoso ma con enormi problemi che sistematicamente emergevano nelle partite punto a punto, non è rimasto più nulla. Con Paul, la squadra che aveva già mostrato potenziali flash di un futuro radioso nella bolla di Orlando è diventata una contender a tutti gli effetti come la scorsa post-season ha abbondantemente dimostrato. L’effetto CP3 non ha solo fatto crescere in maniera esponenziale le due giovani star del team, Devin Booker e DeAndre Ayton, ma dato equilibrio a un sistema che oggi sulle due metà campo ha pochi eguali in NBA. L’esplosione definitiva di Mikal Bridges, nel giro di due stagioni diventato uno dei migliori difensori della lega, unito alla consapevolezza del proprio ruolo in squadra dei vari Johnson, Payne, Shamet, Crowder e della firma estiva JaVale McGee, finora dimostratosi aggiunta di altissimo spessore, ha fatto il resto, rendendo i Suns non più una sorpresa destinata a non ripetere quanto fatto pochi mesi fa, ma una realtà solida con più che legittime ambizioni da titolo. E quando gli uomini egregiamente allenati da Monty Williams non riescono a creare un margine di sicurezza lungo i 3 quarti iniziali e c’è da aggrapparsi all’esperienza e alla leadership di un giocatore negli ultimi minuti, ecco appunto Chris Paul: 61%, 14/23 al tiro, 15 assist e appena 3 palle perse quest’anno nelle situazioni entro i 5 punti di scarto negli ultimi 5 minuti di partita. Con lui in campo, i Suns hanno finora guadagnato 60 punti in quel frangente di gara rispetto agli avversari. E guardano al futuro con ottimismo: per il titolo c’è ancora da fare i conti con loro.

Chi scende: Washington Wizards e Philadelphia 76ers

Washington Wizards: una delle più belle realtà di inizio stagione sta vivendo una preoccupantissima involuzione nel gioco, rischiando di perdere la posizione Playoffs che fino a un mese fa sembravano obiettivo alla portata ma che oggi passerebbero inevitabilmente per il torneo Play-in. In estate Washington era uscita, considerazione ancora valida nonostante il lungo momento negativo, decisamente rinforzata dalla trade a cinque squadre che ha portato in Capitale tanti volti nuovi, su tutti Spencer Dinwiddie e Montrezl Harrell, al posto di Russell Westbrook. Proprio l’ex Nets e l’ex Lakers, nelle prime 13 partite (10 vittorie e 3 sconfitte), erano stati gli assoluti trascinatori di una squadra alla miglior partenza nella storia della franchigia. Non è stato e non è invece ancora protagonista, o almeno non nella misura in cui tutti attendevano lo fosse, la star del roster Bradley Beal. Il numero 3 sta viaggiando a poco meno di 23 punti di media a partita, il minimo dal 2017-78, con il 45% da campo, numeri che denotano una mancanza di ritmo e che, con il fisiologico rientro nei ranghi dei compagni che da inizio anno stavano andando ben oltre le più rosee aspettative, stanno influendo pesantemente sul record di una squadra che si aspetta di più dal suo miglior uomo. E che allo stesso tempo ha visto crollare in modo verticale una difesa che nel primo mese aveva letteralmente sorpreso tutta la lega e che oggi si ritrova ad essere appena la 21esima per defensive rating (punti subiti su 100 possessi: 110.7, addirittura peggio di un anno fa) nonostante le ottime individualità presenti. La sensazione è che alla prima serie di sconfitte il gruppo si sia facilmente demoralizzato, anche se nella attuale striscia di risultati negativi (4) l’aver affrontato due delle squadre più in forma della lega ovvero Suns e Jazz più i Nuggets dell’MVP in carica Nikola Jokic ha influito. Lo stesso non si può dire per la brutta partita giocata contro i Kings, che più di ogni altra gara mostra le attuali difficoltà e l’assenza di un secondo scorer di livello: Spencer Dinwiddie ha chiuso a 4 punti e 2/8 dal campo, Davis Bertans a 7 punti e 1/6 dal campo, Kyle Kuzma a 6 punti e 3/10 dal campo. Per chi ha fatto del collettivo il proprio punto di forza nel brillante inizio di stagione basta poco per guastare ingranaggi che sembravano perfetti.

Philadelphia 76ers: A Philadelphia si vive una situazione paradossale da inizio anno, con Ben Simmons separato in squadra e voci di trade che ormai accompagnano nella quotidianità la franchigia, in attesa della giusta offerta che consentirebbe agli uomini di Doc Rivers di voltare finalmente pagina e smaltire le scorie di una vicenda che si protrae ormai dalla scorsa semifinale di Eastern Conference contro gli Atlanta Hawks. Come spesso è avvenuto nei team allenati dal coach campione NBA coi Boston Celtics, le difficoltà hanno in qualche modo caricato il gruppo e responsabilizzato ogni singolo componente del roster, dando il là a un inizio di stagione importante con 6 uomini in doppia cifra e il quartetto formato da Andre Drummond-Furfan Korkmaz-Matisse Thybulle-Danny Green a portare alla causa quasi 30 punti complessivi a partita. Una squadra lunga, ma che resta disperatamente aggrappata alle prodezze del suo miglior giocatore, il centro Joel Embiid. Non è un caso che quella che forse è la peggior sconfitta subita da inizio anno sia coincisa con l’assenza del camerunese nel 126-91 subito in casa dei Grizzlies. Il ritorno del lungo non ha però sortito gli effetti sperati accendendo un piccolo campanello d’allarme, con altre due sconfitte consecutive contro Miami Heat e Brooklyn Nets, quest’ultima non disponendo dell’uomo rivelazione dell’anno, quel Tyrese Maxey che dalla vicenda Ben Simmons ha guadagnato minuti e responsabilità rispondendo presente e giocando la pallacanestro più efficiente dal suo esordio in NBA. Non inganni però l’assenza della point-guard titolare della squadra: i Nets avevano più di metà roster fuori per protocollo covid e la partita restava abbondantemente alla portata dei ragazzi di Rivers. Che dopo gli sforzi di inizio anno sembrano avvertire il peso delle aspettative per un “Process” che non decolla mai.

Pillole statistiche:

I Memphis Grizzlies continuano a volare pur senza la stella della squadra Ja Morant. Senza il numero 12, il record è di 10 vittorie e 1 sola sconfitta: la squadra del Tennessee resta saldamente al quarto posto della Western Conference.

Gli Utah Jazz, sconfitti a sorpresa nella notte contro i San Antonio Spurs, hanno attualmente il secondo miglior attacco della storia NBA. Con un offensive rating di 118.2, Mitchell e soci fanno peggio solo dei Brooklyn Nets dello scorso anno.

I 631 punti, 323 rimbalzi e 179 assist delle prime 24 partite giocate da Nikola Jokic in questa stagione collocano il lungo serbo al vertice di una speciale classifica: nessun giocatore aveva segnato almeno 600 punti, aggiungendo almeno 300 rimbalzi e 150 assist, nelle prime 24 gare dell’anno. Il nativo di Sombor nelle ultime 6 partite sta viaggiando a 28.5 punti, 13.3 rimbalzi, 9.3 assist, 1.8 palle recuperate e il 63% dal campo. Auguri a chi dovrà scegliere chi premiare per l’MVP tra lui, Kevin Durant, Steph Curry e Giannis Antetokounmpo.

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