Intervista

5 domande a....Jack Devecchi: "Drake Diener un lottatore. Nel 2013 si è vista la Dinamo più forte"

5 domande a Jack DeVecchi

5 domande a....Jack Devecchi: "Drake Diener un lottatore. Nel 2013 si è vista la Dinamo più forte"

di Filippo Stasi

Jack, partiamo dalla vittoria ottenuta sabato scorso a Venezia. Che peso specifico ha avuto questo successo per il morale del Banco di Sardegna Sassari? E soprattutto, con l’arrivo a stagione in corso di Piero Bucchi sulla panchina della Dinamo, la squadra ha evidentemente cambiato volto: cosa vi sta dando in più il nuovo coach?

I due punti guadagnati al Taliercio nell’ultima giornata di campionato hanno per noi un valore enorme. Volevamo rialzarci dopo una serie di sconfitte consecutive, ma non era facile farlo sul parquet di una formazione strutturata come la Reyer. Non è stata una gara qualunque per me e per i reduci della finale Scudetto del 2019, c’è ancora amarezza per come andò a finire quella serie… Averli battuti ci ha quindi fatto doppiamente bene. Anche dieci giorni fa, a Bologna contro la Virtus, nella prima partita con coach Bucchi in panchina, abbiamo molto ben figurato e la vittoria ci è sfuggita solamente all’overtime. È stato importante riprendere dopo la sosta nazionali con un paio di prestazioni del genere, contro due delle più credibili candidate alla nuova corsa Scudetto. Ora dovremo dare continuità a partire dalla prossima sfida, contro Varese. Coach Bucchi dispone di un bagaglio di esperienza che sta contribuendo a renderci più pragmatici: il coach ci dà poche regole, ma chiare e ben definite, per semplificare il nostro modo di stare in campo. Sta cercando di responsabilizzare tutti, da chi parte in quintetto fino al dodicesimo uomo, e questo è fondamentale. La sua mano sulla squadra si vede e ci sta facendo bene.

 

A proposito di allenatori: durante le 16 (!) stagioni da te trascorse a Sassari ne hai visti passare diversi. Due nomi su tutti, Meo Sacchetti e Gianmarco Pozzecco. Avendoli  conosciuti meglio di chiunque altro, cosa ci racconti di loro?

Effettivamente sono un professionista da ormai 20 anni, ahimè (ride, ndr)… E nel corso degli anni la pallacanestro si è trasformata molto. Ho avuto ottimi allenatori, tra i quali spiccano Meo e Gianmarco per quello che sono riusciti a raggiungere, da condottieri della Dinamo. Parliamo di due coach non così diversi come potrebbero forse sembrare, nell’immaginario comune. Entrambi lasciano ‘briglie sciolte’ ai loro giocatori e cavalcano i punti di forza dei diversi componenti del roster. Con Meo Sacchetti Sassari ha espresso un basket corale, veloce, spregiudicato… Libero da schemi che avrebbero solo limitato gli istinti di alcuni atleti. Questo modo di giocare a pallacanestro ci ha portato ad essere il migliore attacco del campionato per diverse stagioni, cosa che anche con coach Pozzecco è successa. Magari col ‘Poz’ la squadra, per caratteristiche, ha cercato una dimensione interna maggiore, potendo contare su centri molto efficaci nel pitturato come Cooley e Bilan, o ali che sanno giocare in post basso come Pierre e Thomas… Però entrambi ripongono piena fiducia e danno libertà di scelta ai loro giocatori. Riescono inoltre a capire l’emotività dei loro ragazzi nei vari momenti della partita; d’altronde sono stati due eccellenti giocatori in passato, e sotto certi aspetti Gianmarco ama ancora vivere lo spogliatoio come se fosse ancora un nostro compagno, in divisa da gioco e con le scarpe da basket allacciate ai piedi.

 

Il 2021 è ormai al tramonto, è dunque tempo di bilanci: per te è stato un anno particolarmente duro, iniziato nel peggiore dei modi con la rottura del legamento crociato del ginocchio sinistro... Però con l’iniziare della stagione 2021/22, Sassari ha ritrovato in campo - e non solo in spogliatoio - il suo numero 8, il capitano. Cosa significa, per Jack Devecchi, essere un buon capitano?

Quello dello scorso gennaio è stato il primo infortunio davvero grave che ho subito in carriera. Ovviamente non è stato facile superarlo, complici le 36 primavere che mi porto sulle spalle… Prima di farmi male al ginocchio mi sentivo in un buonissimo momento di forma, stavo giocando bene, tanti minuti. L’infortunio è stato un brutto colpo, ma ho lavorato sin da subito con l’obiettivo di tornare, perché ero convinto di poter continuare a dire ancora la mia in campo. Grazie all’aiuto dei fisioterapisti, dei preparatori e di tutto lo staff societario sono riuscito a recuperare pienamente la forma, sperando di poterla mantenere, stando lontano da nuovi guai fisici. Per quanto riguarda il mio ruolo in spogliatoio, ritengo che un bravo capitano debba essere un collante tra squadra, allenatore e società. E bisogna essere in grado - a mio parere - di saper riconoscere le svariate situazioni che si presentano a te e ai compagni, per affrontarle nel modo giusto. Ci sono state annate nelle quali avevo tanti minuti a disposizione; penso alle stagioni in LegaDue, ormai lontane. Con la promozione nella massima serie inevitabilmente mi sono dovuto conquistare ogni singolo minuto in campo, ma non sempre riuscivo ad ritagliarmi spazio con continuità come avrei desiderato. È fondamentale, in tal senso, sapersi adattare ai momenti della propria carriera, della propria vita, affrontandoli con spirito costruttivo e aiutando i propri compagni a fare lo stesso, attraverso l’esempio. Ho avuto la fortuna di poter crescere di pari passo con il Club e penso che questa sia stata una delle ragioni principali che hanno facilitato la mia permanenza a Sassari, da 15 anni a questa parte. Sempre con l’8 sulla schiena… Sebbene il numero 8 non abbia mai avuto particolare significato. Quando - ancora sbarbato - debuttai in Serie A con l’Olimpia Milano, ai tempi delle giovanili, portavo il numero 12. Fu il magazziniere a decidere per me, in quanto il 12 era stato il numero di maglia di mio zio, Vittorio Gallinari. Avrei voluto tenerlo anche quando mi trasferii a Sassari, ma era già occupato dal capitano storico, Emanuele Rotondo, che quando arrivai era alla sua sedicesima e ultima stagione in maglia Dinamo. Non ero assolutamente nella posizione di poter avanzare pretese, per cui la scelta ricadde sul vecchio numero 8 vestito già con le giovanili.

 

Sei anche conosciuto come ‘Ministro della Difesa’ per le tue spiccate, eccezionali qualità in marcatura a uomo. In allenamento, che metodi utilizzavi per provare a non far segnare Drake Diener, che peraltro domenica prossima compirà 40 anni?

Con Drake mi sento ancora spesso, lui e suo cugino Travis sono due ragazzi fantastici che sono stato fortunato a conoscere e avere come compagni di squadra per tante stagioni. Che dire di Drake: un tiratore che non aveva eguali nel nostro campionato e che - non a caso - si è tolto soddisfazioni anche a livello individuale (MVP e miglior marcatore della stagione 2013/14, ndr). In allenamento provavo a fare il possibile per ostruirgli la via del canestro, ma lui era talmente bravo da riuscire comunque a trovare lo spazio per prendersi il tiro e mandarlo a bersaglio, spesso e volentieri. Ma non parliamo solo di un formidabile realizzatore: non bisogna dimenticarsi che Drake ha dovuto convivere con problemi di salute importanti. Per arrivare ad essere il giocatore più immarcabile del campionato la domenica, doveva stare attento a tanti dettagli e lavorare duramente in settimana. Si rinchiudeva in palestra e tirava, tirava… Una routine inflessibile. Un gran professionista, un lottatore. Per i suoi 40 anni ovviamente lo sentirò e gli augurerò di continuare a mettere canestri importanti come quelli che ha messo qui a Sassari, anche nella vita.

 

Drake Diener è stato soltanto uno dei giocatori che, assieme a te, hanno scritto le più belle pagine della storia societaria. In tutti questi anni, hai fatto parte di edizioni del Banco di Sardegna Sassari che sono rimaste impresse nella memoria di diversi appassionati. A tuo giudizio, qual è stata la versione più forte tra le seguenti: 2012/13, 2014/15 o 2018/19?

Una domanda alla quale non è facile rispondere. Nel 2015 abbiamo vinto il Triplete con una squadra di matti! Realizzatori di striscia come Logan, Dyson, Sosa, Sanders… Atleti capaci di accendersi in ogni momento della partita e di infiammare l’ambiente con le loro giocate di talento. Per non parlare dei balzi senza senso di Lawal… Fu esaltante. Vincere i tre titoli nazionali nella stessa stagione è qualcosa che si sogna da bambini, ma che da adulti è poi molto difficile realizzare. Però per il gioco espresso e per la coesione che si era creata nel gruppo - senza ombra di dubbio - la Dinamo Sassari 2012/13 è stata la squadra più forte in assoluto. Terminammo la stagione regolare al secondo posto e solo una rocambolesca serie playoff contro Cantù, nei quarti di finale, interruppe la nostra corsa. Eravamo la squadra underdog: nessuno si aspettava potessimo arrivare così in alto in classifica. Fu speciale fare parte di una squadra così compatta, solida, priva di particolari stelle ma con tanti giocatori che si trovavano splendidamente, in campo e fuori. Sono convinto che da quell’annata sia scaturita la determinazione necessaria che ci ha poi permesso di vincere la Coppa Italia l’anno seguente, il già citato Triplete del 2015, fino ad arrivare al primo titolo europeo: la FIBA Europe Cup vinta con coach Pozzecco nella stagione 2018/19.

 

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