“Mangio” pallacanestro da più di cinquant’anni. Grazie alla pallacanestro ho cominciato a fare questo mestiere. E’ merito (ammesso che sia un merito) della pallacanestro avermi portato ai piani alti del giornalismo sin dal giorno in cui un signore (a cui la pallacanestro italiana deve quasi tutto) mi strappò dalla mia piccola città e mi disse :“Vieni a Milano, così vediamo cosa sai fare”.
Quel signore, che per me è stato come un padre, si chiamava Aldo Giordani. Mi aveva “scoperto” perché avevo fondato un giornalino intitolato “Pressing” (nome che - come dire- poi mi sarebbe servito ancora). Giordani mi trattò veramente come il suo quarto figlio al punto che quando mi sposai mi volle fare da testimone. E furono nozze movimentate: tanto per cambiare… per colpa ancora della pallacanestro. Sandro Gamba, mio grande amico e allenatore di Varese, mi telefonò per dirmi: “Osti, ma vi dovete sposare tutti lo stesso giorno? Facciamo cosi il Dodo (Rusconi) lo faccio sposare alle undici, per te va bene alle cinque del pomeriggio? Così io vengo giù con l'Arrigoni”. Insomma, anche l’orario del mio matrimonio lo decise il basket
Perdonate la premessa (forse troppo) personale, ma ogni tanto mi viene da sorridere quando in una semplice chiacchierata vedo qualcuno stupirsi perché parlo di canestri e affini. O addirittura, quando si ingaggia qualche infuocato dibattito cestistico sulla mia pagina Facebook (ne ricordo uno piuttosto movimentato in seguito a un post sui settant’anni di Meneghin), e salta fuori il trenta-quarantenne rampante, saccente e figlio dell’alley-oop che si esibisce in un incauto: “Ma che ne sa lei di pallacanestro? Torni a scrivere di calcio, come ha sempre fatto!”
Sì, in effetti non ho scritto poco “di calcio”: e per la verità anche di altre cosette. Ma - a proposito di “permeabilità” con la mia disciplina più amata - mi viene ancora in mente la faccia che fece Gianni Brera, mio capo al “Giorno”, quando a Buenos Aires, durante i Mondiali (di calcio) del 1978, mi vide sparire per una serata intera, a dispetto di Bearzot e del primo “Pablito”, perché ero andato a vedere la Mobilgirgi che stava giocando (male) la Coppa Intercontinentale vinta dal Real Madrid. E di quella fuga ho ancora un cimelio straordinario: l’ultima maglia che la squadra usò con quello sponsor prima di diventare Emerson e, ovviamente, dopo essere stata gloriosamente Ignis. Una maglia, comunque, con lo scudetto sul petto: conquistato nella finale play off contro l’ormai rinata Virtus di Dan Peterson. La squadra per intenderci - vado a memoria, ma credo di sbagliare di poco - di Morse, di Yelverton, di Meneghin, di Bisson, di Zanatta, di Ossola, di Rusconi... Con l’ex tenente dei paracadutisti Nico Messina in panchina, tornato sul luogo dei suoi primi trionfi
I ricordi mi si intrecciano in maniera vorticosa e non vorrei annoiare né per nostalgia, né - men che meno - per malinconia. Ogni epoca certamente ha i suoi pregi. Ma io posso dire di aver visto nascere - per fortuna anagrafica, non per merito - la pallacanestro contemporanea. Quella delle generose, diffuse, mirate, in alcuni casi storiche sponsorizzazioni ; quella di una migliorata professionalità dirigenziale; quella di allenatori sempre più preparati, quella dell’affermazione popolare nei grandi palazzetti pieni (non più solo nelle palestre riadattate); quella delle grandi e reiterate vittorie internazionali. Quella della crescita esponenziale; quella della consapevolezza. Quella dei titoli europei e dei podi olimpici
E quante volte quell’amore orientò anche le mie scelte editoriali. Una volta diventato direttore del Guerin Sportivo ripristinai immediatamente quel “Guerin Basket” che era stato il “pretesto” della mia fuga verso la grande città: e ne affidai la cura ai giovani Luca Chiabotti e Luca Corsolini, entrambi allievi di Giordani. Chissà se qualcuno ricorda che quando diventai direttore di Rai Sport sostituii la storica partita di calcio (registrata) della domenica sera con quella (in diretta) del campionato di basket, affidandone la telecronaca al caro Franco Lauro. Un vero e proprio colpo di mano che feci avendo al fianco un amico dei tempi militanti del parquet che nel frattempo era diventato presidente di Lega: Angelo Rovati. E parlo di quegli indimenticabili anni ’90, che portarono Bologna, Milano, Cantù, Roma, Verona, Treviso a far man bassa di Coppe Europee e la Nazionale a vincere il suo secondo (e ultimo) titolo continentale
Già, la Lega… Praticamente l’ho vista fiorire (e per la verità ogni tanto anche appassire un po’): ne ho visti succedere i presidenti. Di molti sono stato veramente amico, estimatore e in alcuni casi…complice. Anche con l’ultimo, Umberto Gandini, ho avuto momenti di vita professionali (non cestistici, ma tutt’altro che banali) in comune: e posso mettere la mano sul fuoco sul suo valore professionale e sulla sue serietà, che si possono tranquillamente coniugare anche con la sua “laicità” rispetto al movimento sportivo che è stato chiamato a guidare.
Quando, quasi cinquant’anni fa, mi trasferii a Milano a cercare fortuna i miei due - diciamo così - core business professionali erano il già citato “Guerin Basket” e il mai troppo rimpianto “Giganti del Basket” diretto da Gianni Menichelli, con Bruno Ferrari e poi con Bruno Bogarelli in regia: al mio fianco un amico tanto adorato quanto rimpianto che veniva da Palermo e che a Milano aveva visto per la prima volta in vita sua due cose: la nebbia e la neve. Si chiamava Massimo: Massimo Mangano. Da grande - si fa per dire - sognava di fare l’allenatore. E ci riuscì. E avrebbe conquistato il mondo se avesse avuto un po’ più di tempo. Chiedere, per informazioni, al suo giovane assistente Ettore Messina.
Erano stagioni in cui si stava uscendo dal pionierismo per entrare, grazie ai Padri Fondatori, nella strada e poi nel viale delle Certezze. La Lega Basket, anzi l’”Assemblea della Lega Società Pallacanestro di Serie A” nacque alle 18,30 del 27 maggio di cinquant’anni fa in via Procaccini a Milano, cioè nella sede de “All’Onestà” che di Milano era la seconda squadra dopo l’Olimpia. Alle quattro società assenti (Livorno, Napoli, Pesaro e Venezia) venne comunicato per raccomandata che la tassa di iscrizione era di 200.000 lire, quella annuale di 300.000, che il presidente era l’ingegner Adalberto Tedeschi (Ignis Varese) , il vice Adolfo Bogoncelli (Simmenthal Milano) e il segretario Giancarlo Gualco (sempre Ignis). Dopo due anni di (faticoso) apprendistato tutto venne spostato a Bologna; diventò presidente Giancarlo Tesini, politico democristiano poco più che quarantenne, il candidato più votato di tutta l’Emilia-Romagna: uomo credibile, esperto, paziente e autorevole da cui i “Giganti” mi spedirono per la sua prima intervista “ufficiale”. Titolo: “L’uomo della Provvidenza”. Frase da rileggere a 48 anni di distanza: “Il nostro obiettivo è quello di affermare il ruolo della Lega nei confronti della Federazione. Quindi il problema principale è quello di impostare in termini più produttivi e corretti un discorso con la Federazione stessa”. Ricordo che l’avvocato Porelli, presente in qualità di grintoso testimone, annuì. Ho ancora la cassetta con la registrazione. Hai visto mai…
Marino Bartoletti