Ettore Messina, com’è cambiata la sua vita ai tempi del coronavirus?
«La cosa che ti salta agli occhi è come fai tutto più lentamente, con più calma. E credo che dovremo abituarci a questi nuovi ritmi».
Le mancano la palestra, la panchina, l’adrenalina della partita?
«Assolutamente. Mi manca lo sport come momento di aggregazione».
«Non solo. Mi riferisco anche alla gente, alle persone. Ai tifosi. Penso a quanto sia bello abbracciarsi in tribuna, stringersi, persino arrabbiarsi. Chissà per quanto tempo non si potrà fare. È una cosa triste. Eppure...».
Eppure?
«Eppure mi spiace che tutto questo passi in secondo piano, perché il problema più grosso sembrano essere soltanto gli incassi. Capisco che è importante, non dimentico che lavoro per il gruppo Armani e sono fortunato. Ma non mi piace la piega che sta prendendo la situazione».
Si spieghi.
«Parlo dello sport, e non solo. Mi sembra che negli ultimi giorni il tema sanitario sia completamente sparito e si parli solo di ripartenza, poi leggo i dati degli ospedali di Milano e sono terrorizzato: ci stiamo comportando come se i contagi fossero vicini allo zero e le camere di rianimazione siano vuote, invece l’emergenza è ancora molto forte e la stiamo negando. Il dibattito attorno al calcio è la perfetta fotografia di quello che sta accadendo».
Il calcio vuole portare a termine la stagione. L’Eurolega, nel basket, anche.
«Credo sia più importante focalizzarsi e riorganizzarsi per ripartire bene nella prossima stagione, piuttosto che consumare energie a iosa nel tentativo di salvare questa».
Come vede la fase 2?
«Dobbiamo decidere se vogliamo che questo virus faccia da selezionatore naturale, e quindi chi resta per strada ci rimane, e vanno avanti solo quelli che ce la fanno, economicamente, organizzativamente; oppure se vogliamo rinunciare tutti a qualcosa, così non ci saranno i due-tre che stanno superbene, ma tutti che staranno un po’ meno bene, sì, ma abbastanza bene».
Come ne usciamo?
«Avremo bisogno di guide illuminate, in tutti i settori, perché se ci fermiamo al primo ostacolo o non riusciamo a vedere il quadro completo osservando solo i particolari rischiamo di finire in liti e complessità che non saremo in grado di superare. Nella politica, come nell’economia e nello sport, l’emergenza durerà tantissimo. O abbiamo la fortuna di trovare qualche De Gasperi, o avremo problemi non facilmente risolvibili».
Lasciando da parte paragoni ingombranti, come ha debuttato il nuovo presidente di Lega Umberto Gandini?
«Ha saputo tenere la barra dritta malgrado le tante posizioni diverse».
Una situazione difficile?
«Il problema fondamentale, nello sport come in politica, nostro è che viaggiamo ancora per schieramenti».
Il virus le fa paura?
«Sì. Ho paura per me, per i miei cari, anche quando a vado a fare la spesa al supermercato. Il virus ti spaventa».
Lei ha vissuto l’esperienza delle partite a porte chiuse: lì non aveva paura?
«Confesso che stupidamente all’inizio credevo molto a chi faceva paragoni con la normale influenza. Eravamo tutti abbastanza sereni. Lo vedevamo come un problema dei cinesi. Poi degli italiani, poi è diventato un problema di tutti. Pensavamo: ma vuoi che tocchi proprio a noi?».
Quando ha cominciato a preoccuparsi?
«Quando avremmo dovuto andare a giocare a Berlino con l’Olympiacos. Sapevamo che da noi, al Forum, venivano rispettati tutti gli standard. Pensare di andare in Germania, in un campo che non sapevamo fosse stato disinfettato, ci fece preoccupare molto. Poi fu la famosa notte in cui Gobert venne trovato positivo, la Nba fermò tutto e in 24 ore anche l’Eurolega disse stop».
L’Eurolega vuole ripartire: che cosa significa per voi?
«Significa rimanere sospesi. Non sappiamo se davvero si giocherà ma dobbiamo pensare come se la stagione fosse ancora in corso».
Il che vi impedisce di lavorare per il futuro...
«Ed è un problema. Vedere titoli su giocatori che vanno e vengono è destabilizzante».
Li sente, i suoi giocatori?
«Non ossessivamente. A Pasqua abbiamo fatto una chiamata su Zoom per farci gli auguri, ogni tanto mando messaggi sulla chat. Chi è a stretto contatto con loro sono preparatori e fisioterapisti».
Il camponato invece è chiuso. Il d.g. della Virtus Luca Baraldi ha detto che la sua squadra è stata nettamente la più forte di tutte.
«Fino alla Coppa Italia sono stati meritatamente i più bravi di tutti...».
Coppa vinta da Venezia.
«Che lo scorso anno è stata la più forte quando contava, nei playoff, e ha vinto meritatamente lo scudetto senza aver vinto la regular season».
Giusto non assegnare lo scudetto?
«Chi era in testa ha diritto di sentirsi migliore. Ma al contempo le altre hanno diritto di pensare che nei playoff le cose potevano cambiare».
Milano sarebbe cresciuta?
«Con i se e con i ma non si va da nessuna parte. Chiaro che io lo speravo».
La sua Olimpia ha avuto molti alti e bassi.
«È bizzarro parlarne ora, a stagione teoricamente ancora in corso. Abbiamo avuto momenti molto belli e molto brutti, mancanza di continuità. La cosa mi ha dato fastidio, lavoreremo per cambiare».
Il presidente Leo Dell’Orco ha confermato il budget anche per la prossima stagione.
«Sì, e mi è spiaciuto che qualcuno l’abbia vista come un tentativo di affermare una posizione di forza. Era una dimostrazione di fiducia per il movimento e per il domani».
Che insegnamento ci lascerà questa emergenza?
«Se non facciamo tesoro di questa lezione, se non cominciamo ad accapigliarci un po’ meno, significa che non abbiamo capito niente e che il futuro sarà molto complesso. E il sacrificio di chi si è battuto contro il virus sarà stato un sacrificio inutile».
Daniele Dallera
Roberto De Ponti